sabato 26 settembre 2015

Le prime illustrazioni della Divina Commedia



Il primo disegno dell'Inferno di Dante
Le illustrazioni realizzate tra il 1304 e il 1309. Il libro d’ore, finito all’asta da Christie’s nel 2003, fu acquistato da Guido Rossi

26 set 2015  Corriere della Sera Di Paolo Di Stefano 

L’ultimo tassello per conoscere meglio la Divina commedia affiora grazie all’opera di Francesco da Barberino, notaio e poeta, probabile amico di Dante, nato nel 1264: fu il primo a menzionare la Commedia e fu il primo a illustrarla (nella foto, l’Inferno). Lo fece nei Documenti d’Amore, un’opera allegorica che si pensava perduta e invece è riapparsa nel dicembre 2003. Può sembrare inverosimile che nel 2015, cioè a 750 anni dalla nascita di Dante, con diversi chilometri lineari di bibliografia critico-filologica disponibile, possano ancora emergere tasselli utili per conoscere meglio l’opera del nostro maggior poeta. Eppure è così, se è vero che il Centro Pio Rajna, dopo le celebrazioni ufficiali del maggio scorso, ha organizzato un mega convegno scientifico sull’Alighieri, che si terrà a Roma da lunedì a giovedì. Intanto, ecco una primizia, che ha il sapore di un evento storico-letterario, legata al nome di un notaio, poeta, poligrafo e artista che probabilmente Dante conosceva bene, suo coetaneo dalla vita quasi parallela: Francesco da Barberino. Al quale si devono due primati: fu lui il primo a menzionare la Commedia, a lavori in corso; fu lui il primo a illustrarla.
Le due scene ispirate all’«Inferno» di Dante contenute nell’«Officiolum» di Francesco da Barberino. In alto a sinistra Dante Alighieri (1265-1321)
Andiamo con calma. Che la Commedia sia stata accolta con grande e precoce favore dal pubblico e dalla critica lo dimostrano diverse testimonianze. Ma il primo importante documento sulla circolazione dell’Inferno si deve proprio a Francesco, che in una nota redatta tra la fine del 1313 e il marzo 1314 scrive: «Dante Alighieri in una sua opera che s’intitola Commedia e tratta, tra molte altre, di cose infernali, presenta Virgilio come proprio maestro», e prosegue precisando che a un lettore attento risulta chiaro come Dante sia maturato proprio studiando il poeta latino. È la prova che il poema dantesco, la cui elaborazione ha inizio tra il 1305 e il 1307, era già ultimato, forse già nelle prime due cantiche, riveduto e pubblicato. Queste osservazioni sono contenute nei Documenti d’Amore, un’opera allegorica composta da Francesco durante il suo esilio provenzale, una curiosa composizione mista di versi in volgare, una traduzione letterale in latino e un ampio commentario.
Di famiglia nobile, nato a Barberino, in Val d’Elsa, un anno prima di Dante, nel 1264, dal ghibellino Neri di Ranuccio, Francesco fu studente di arti liberali a Firenze e in seguito di diritto civile a Bologna, prima di diventare notaio episcopale sempre a Firenze, dove entrò in contatto con i circoli stilnovisti di Cavalcanti e Dante, ma anche con gli ambienti artistici di Cimabue e Giotto. Rimatore d’amore a sua volta e autore di novelle andate perdute, in quanto ghibellino nel 1304 dovette lasciare la sua città, come l’Alighieri, riparando in Veneto (come Dante), a Padova e a Treviso, poi, tra il 1309 e il 1313, ad Avignone viaggiando anche per il resto della Francia.
Fu, come Dante, fautore di Arrigo VII e come Dante fu autore di un’epistola latina all’imperatore, a differenza dell’Alighieri fece ritorno a Firenze attorno al 1317, dove riprese l’attività notarile.
La sua lunga vita di funzionario e di consigliere politico fu troncata dalla peste nel 1348, quando Dante era già morto da quasi un trentennio. Molto ammirato da Boccaccio, che ne scrisse il solenne epitaffio sulla sepoltura in Santa Croce, Francesco da Barberino è noto, oltre che per i Documenti d’Amore, anche per un trattato di educazione femminile in versi sciolti, il Reggimento e costumi di donna, composto dopo l’esilio.
Va detto che il notaio toscano fu anche un notevole esecutore, ideatore e committente di illustrazioni di gran pregio per i propri libri: oggi si direbbe un art director. Basti ricordare che il manoscritto autografo dei Documenti è splendidamente arricchito di 27 miniature e di disegni di mano dell’autore che fanno del codice un oggetto di enorme valore artistico oltre che culturale. È lì che Francesco fa cenno di continuo a una sua operetta precedente, l’Officiolum, un libro d’ore, le cui figure allegoriche erano servite da palinsesto
di riferimento per la realizzazione dei Documenti. Da qui il disappunto degli studiosi per la scomparsa di quell’esemplare che, come scrisse nel 1902 lo storico Francesco Egidi, «doveva essere un vero gioiello di eleganza e che disgraziatamente è andato perduto».
Nel dicembre 2003 Christie’s mette all’asta un piccolo codice, di mm. 134 x 102, rilegato a mano in velluto rosso, che consta di 174 carte, 70 delle quali portano miniature di estrema raffinatezza, un oggetto grafico spettacolare in cui immagine e testi si integrano in perfetta armonia, grazie all’elegante apparato decorativo con figure variamente ornate, con i grandi capilettera in filigrane rosse o blu, e grazie all’ampio uso dell’oro in lamina (alcune pagine finali sono addirittura interamente scritte in oro brunito).
La sorpresa è che si trattava proprio dell’Officiolum che Francesco da Barberino compose tra il 1304 e il 1309 a Padova: la datazione, ricavabile dalle autocitazioni dello stesso autore nei Docu

Nessun commento: