mercoledì 23 settembre 2015

Cristianesimo gastronomico

Mangiare da cristianiMassimo Montanari: Mangiare da cristiani, Rizzoli

Risvolto
Il rapporto dell'uomo col cibo è sempre inserito nella dimensione religiosa dell'incontro con Dio. Il cristianesimo, in particolare, ha elaborato nei secoli una serie infinita di costruzioni simboliche: dal ruolo del vino e dell'ostia nell'eucaristia alla condanna della "gola"; dal valore redentore del digiuno ad Adamo ed Eva. La storia del cristianesimo è un patrimonio incredibile di consuetudini e "contagi" culturali. Con grande efficacia evocativa, l'autore la ripercorre cogliendo nel profondo la forza di precetti, proibizioni, parossismi e idiosincrasie che investono anche politica e ordinamenti sociali. Con un occhio al presente: perché molto di quello che racconta ha resistito nei secoli fino a noi.





Dacci oggi il nostro cibo da gourmand cristiani 
Quaresime, banchetti, proibizioni come la religione ha regolato la tavola 

Rocco Moliterni tuttolibri
«Un modello alimentare “cristiano” non esiste. Ci sono cristiani onnivori e cristiani vegetariani. Cristiani ossessionati dal peccato di gola e cristiani che vivono serenamente il rapporto col cibo. Cristiani indifferenti a ciò che mangiano e cristiani che pensano alla tavola come al luogo centrale della vita». Si apre così Mangiare da cristiani il nuovo libro dello storico Massimo Montanari che ripercorre in un’appassionante cavalcata lungo due millenni l’evoluzione dell’atteggiamento del cristianesimo nei confronti del cibo. E questa frase iniziale già fa intendere il relativismo e la capacità di adattarsi alle situazioni e ai momenti storici che questa religione ha sempre manifestato quando si parla di alimentazione. 
Ma andiamo con ordine: la religione cristiana a differenza dell’ebraismo che la precede e dell’islamismo che la segue non considera gli alimenti buoni o cattivi in sè. Non c’è per i cristiani una precettistica che impedisca ad esempio di mangiare la carne di maiale o i crostacei (ebraismo) o bere vino (islamismo). Anzi nel caso del vino questo è con il pane uno dei simboli della stessa religione: nei primi secoli anche i fedeli durante la messa lo bevevano per ricordare il sangue di Cristo e il suo sacrificio. «Il cibo - rileva ancora Montanari - è una realtà neutra e solo l’atteggiamento di chi mangia può conferire al gesto alimentare un valore – qualunque esso sia – positivo o negativo». E di fondo questa neutralità è rimasta, anche se dai tempi degli apostoli, segnati dalla massima libertà che lasciava a ciascuno la responsabilità delle proprie scelte a quelli della Controriforma, in cui si arrivava quasi a imporre il menu (c’erano i giorni in cui si mangiava di magro e quelli ad esempio in Quaresima in cui si digiunava) di cose ne sono cambiate. Ma è sempre rimasta in qualche modo sotto traccia la contrapposizione tra un atteggiamento di rinuncia al cibo in quanto fonte di tentazione e di peccato e un atteggiamento che valorizza il senso del gusto perché permette, in quanto strumento di conoscenza, di vivere pienamente la propria esistenza. Così avremo ad esempio un filone teologico che fa risalire la nascita del peccato di gola all’Eden e alla decisione di Adamo ed Eva di assaggiare il frutto proibito, altri teologi vedranno invece in questo gesto un peccato di superbia che nulla a che fare con il cibo. A sostenere il primo saranno nel corso dei secoli gli anacoreti e gli eremiti (fra gli altri San Gerolamo), e poi i santi che faranno del sacrificio, della penitenza e della rinuncia l’essenza della loro predicazione o testimonianza. Ma ci saranno anche quelli come Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino e San Francesco che faranno prevalere le ragioni della salute e della pienezza della vita su quelle della privazione.
Il libro ci fa tra l’altro entrare nei conventi, dove le regole sono a seconda degli ordini monastici e dei loro fondatori (da San Benedetto a San Colombano), più o meno restrittive, ci sono conventi dove si possono allevare maiali (gli antoniani) e conventi dove tutta la carne è bandita, conventi dove nascono i vini più pregiati e conventi dove si beve solo acqua.
Due le parti del volume: la prima è dedicata alle regole infrante, ossia al rapporto del cattolicesimo con i precetti dell’ebraismo, la seconda alle regole ritrovate (ne è un esempio l’invenzione della Quaresima). 
Tutte le scelte alimentari dei cristiani conclude Montanari «ruotano attorno al tema della conoscenza e di come rapportarsi alla domanda di fondo: è lecito, è giusto, è bello conoscere il mondo?». A questa domanda, la storia della religione cristiana ha dato molte risposte, diverse e contrastanti. E partendo dalla tradizione evangelica che parlava di libertà e di responsabilità individuale «si negoziavano ogni volta le regole, ma intanto si imponevano obblighi rituali validi per tutti. Ecco perché un modello alimentare “cristiano” non esiste».

Se mangi come preghi
di Gino Ruozzi Il Sole Domenica 20.12.15
Esiste un modello alimentare che distingue i cristiani dagli altri? La risposta di Massimo Montanari è negativa: la tradizione cristiana non prevede vincoli pregiudiziali in tema di cibo, «negando che gli alimenti siano buoni o cattivi in sé». Il cristianesimo invita alla libertà e alla responsabilità, lasciando ampio margine alle decisioni personali. Ci sono cristiani onnivori e altri vegetariani, cristiani disinteressati ai piaceri della tavola e altri che li coltivano con passione.
Nel saggio Mangiare da cristiani Montanari compie una minuziosa indagine dalle origini evangeliche e apostoliche alle tendenze odierne (data al 2009 la fondazione dell’Associazione cattolici vegetariani, il cui motto programmatico è «Amiamo così tanto il Creato da rispettarlo, amiamo così tanto la vita da non toglierla a nessuno»). A proposito di scelte, nella tradizione cristiana si possono incontrare posizioni sovente opposte da parte di autorità altrettanto prestigiose. È il caso di sant’Agostino e di san Girolamo, il primo a favore di una dieta senza restrizioni, il secondo incline a un’alimentazione vegetariana che rimanda, seppure in modalità diverse, alla celebre dieta di Pitagora.
Nel cristianesimo il cibo ha un rilievo simbolico e sostanziale primario, tanto che al pane e al vino corrisponde il nutrimento divino, fulcro essenziale della professione di fede e della celebrazione eucaristica. Il rinvio costante di Gesù a similitudini e a metafore alimentari è la prova di un linguaggio che attinge alla concretezza della vita ed esalta la bontà del cibo come anticipazione del futuro paradiso. D’altronde anche il paradiso terrestre era stato perso per un cibo, per quel desiderabile frutto della conoscenza che era diretta espressione dell’intelligenza di Dio.
Montanari esamina i principali modelli alimentari dell’antichità (mesopotamici, greci, latini) e delle religioni monoteistiche (cristiani, ebraici, islamici; e, tra i cristiani, quelli di cattolici, ortodossi e protestanti). Ne documenta affinità e differenze, spesso anche sorprendenti familiarità, sfatando parecchi luoghi comuni.
I numerosi esempi riguardano soprattutto il Medioevo, con approfondimenti della rappresentazione degli animali (tra cui spicca il maiale di sant’Antonio abate, che ha dato alla bestia straordinaria fortuna); l’inclinazione penitenziale di tanta precettistica cristiana (nel senso che «una cosa si può fare, ma sarebbe meglio di no»), con indicazioni discrezionali motivate da fattori politici e sociali più che da fondamenti teologici; le oscillazioni di costumi alimentari con ripetuti ribaltamenti di valori, come i rapporti tra carne e pesce, tra giorni di magro e di festa, tra nutrizione e digiuno, tra un’astinenza che mira a discutibili vanti estetici e un’astinenza di severo riscatto morale, tra radicale vita eremitica ed equilibrata fraternità monastica, tra quaresime e carnevali, cibi cotti e crudi.
Per i cristiani il cibo non può assumere importanza assoluta; può essere invece un mezzo per imparare a vivere meglio, specie per apprendere la virtù della condivisione. Lo insegna ancora una volta in modo esemplare Francesco d’Assisi, per il quale «come ci dobbiamo trattenere dal soverchio mangiare, nocivo al corpo e all’anima, così, e anche di più, dobbiamo guardarci dalla eccessiva astinenza, poiché il Signore preferisce la misericordia al sacrificio».

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