mercoledì 23 settembre 2015
Nuria Schoenberg su Luigi Nono
Nuria Schoenberg racconta il legame con il grande musicista Luigi Nono “In lui ritrovai la stessa sensibilità di mio padre e l’umorismo”
SIMONETTA FIORI Repubblica 15 9 2015
ALGHERO
Due corpi flessuosi, che si muovono in armonia. Lui è slanciato, portamento elegante, bellissime mani che fendono l’aria in modo giocoso. Lei è agile e veloce, buffa e irresistibile, una ragazza sul genere della Holly di Audrey Hepburn. Siamo a Venezia, Natale del 1958. Nuria Schoenberg aspetta una bambina e Luigi Nono inscena uno spettacolino a casa, davanti a una vecchia cinepresa. «Questo filmino era per mia madre che viveva a Los Angeles », racconta Nuria mentre mostra le vecchie immagini. A 83 anni conserva tutta l’agilità mentale dell’antica ragazza cresciuta in California. Figlia e
moglie di due giganti della musica novecentesca, riesce in quell’arte rara di saper togliere polvere al monumento. In questi giorni avrebbe festeggiato i sessant’anni di matrimonio insieme a “Gigi”, al mare delle Bombarde, nella casa molto amata dove sono passati compositori e direttori d’orchestra, artisti e scrittori, gli amici Maurizio Pollini e Claudio Abbado, che abitava nella villa vicina. «Qui abbiamo trascorso giorni felici. Giochi, cene, partite a ping pong e a pallavolo. Erano i più bravi nella propria arte e dovevano arrivare primi anche negli sport».
Anche Nono era competitivo?
«No, Gigi era diverso: di vincere non gli importava niente».
Come la conquistò?
«Con lo sguardo. Aveva occhi che ti catturavano, era impossibile sfuggirvi».
Vi incontraste la prima volta ad Amburgo nel 1954.
«Sì, Gigi aveva lavorato alla prima esecuzione mondiale del
Moses und Aron di mio padre, che era morto tre anni prima».
Schoenberg sapeva di questo giovane musicista italiano?
«No, non credo. O almeno non me ne ha mai parlato. Mio padre non era più tornato in Europa dopo la fuga in America dalla Germania nel 1933. Anche dopo la fine della guerra ha continuato a temere rigurgiti di antisemitismo ».
Così tornaste lei e sua madre.
«Fummo accolte in pompa magna dalle autorità di Amburgo e dagli allievi di mio padre. Oh, la figlia di Schoenberg… ( Nuria mima l’ingessata ritualità dell’omaggio al maestro ).
Non ero abituata a tutta questa cerimonia. In America ero solo la sorella di Ronald, un bravo tennista».
Il giovane italiano la trattò diversamente.
«Sì, era molto curioso. Dopo l’esecuzione ci ritrovammo a cena. Mia madre era finita dall’altro capo della lunga tavolata, Gigi davanti a me. Mi fece un sacco di domande: sull’America, sulla vita a Los Angeles, anche su mio padre».
Come comunicavate?
«In tedesco, che però non era la nostra lingua. Io parlavo in inglese e non sapevo l’italiano, viceversa Gigi ignorava l’inglese. A un certo momento non mi venne una parola, mi pare “governo”. Ancora arrossisco quando ci penso. Senza pudore gridai verso mia madre: “ Mamà, how do you say government in german?”
Lì è cominciata la seconda parte della mia vita».
In che senso?
«Avevo l’urgenza di rispondere a quest’uomo. Era necessario. Non potevo aspettare».
Era un uomo anche molto bello.
«Sì, mia madre me lo disse subito. “Che belle mani. Mani così non le trovi in America”. Poi aveva questo magnetismo pazzesco. Ci saremmo rivisti poco dopo a Roma, quindici giorni d’incanto tra passeggiate e musei. Quando ripartii per Los Angeles avevo il cuore in subbuglio».
E lui?
«Mi mandava lettere e telegrammi d’amore. Io qua e tu là: non è giusto! E poi quasi ogni giorno le cartoline da ogni angolo di Venezia: questo posto ti conosce già! Un giorno mi arrivò la partitura di Liebslied , a me dedicata. Ne lessi d’un soffio il testo:
Tu sei terra/Fuoco Cielo/ti amo/con te c’è pace/tu sei gioia/ Tempesta/tu sei con me/tu sei vita/tu sei amore . Può capire la mia emozione. Ma la sorpresa più grande sarebbe arrivata l’anno successivo con Incontri , al festival
di Darmstadt».
Lei non poteva mancare.
«Gigi venne a prendermi all’aeroporto e dopo tre giorni eravamo fidanzati. Sembrava un film di Hollywood: la figlia del monumento e il giovane compositore già celebre. Quel genere di cose che dici: mah, questo non capita nella vita reale ».
Si è domandata quanto ha contato anche nella storia d’amore con Nono l’esser figlia di Schoenberg?
«Mi ha aiutato a vivere con Gigi, questo sì. Ma nella relazione sentimentale credo di essere stata più importante io del mio cognome ».
Perché l’ha aiutata?
«Ho imparato a rispettare i suoi silenzi. I suoi umori altalenanti. Quando componeva mio padre si ritirava nel suo studio, che diventava inaccessibile. Crescere al fianco di una personali- tà creativa significa capire fin da piccola che la cosa migliore da fare – con questo genere di uomini – è lasciarli tranquilli».
Aspettare che passi.
«Ero sposata da poco quando venne a trovarmi a Venezia una mia vecchia compagna di scuola. Era estate, si andava al Lido. Non essendo occupato dal lavoro, Gigi era molto allegro. “Ma che marito meraviglioso, come sei fortunata”: l’amica non andava più via. In settembre Gigi riprese i suoi spartiti. E qui il registro cambiò radicalmente. “Uhm, non ci guarda più, non ci parla più: Nuria, deve essere depressione. Fai qualcosa”. Il fraintendimento ebbe i suoi vantaggi: l’amica se ne tornò in America ».
Un compagno si sceglie per affinità o in netta opposizione rispetto al padre.
«Proprio così. Ritrovai in Gigi la stessa sensibilità di mio padre, rigore nel lavoro e un gran senso dell’umorismo. Avevano entrambi l’autorità che viene dall’intelligenza e dal sapere, non dal potere. Però erano anche diversi. Gigi era molto diretto, fin troppo. Anche nella politica: la forza delle convinzioni l’ha sempre indotto al conflitto, parola che gli piaceva».
Ebbe problemi di censura.
«Sì, a destra e a sinistra. La fabbrica illuminata fu rifiutato dalla Rai per i suoi contenuti dirompenti. E un testo contro i sovietici non fu eseguito dalla Germania dell’Est. Gigi ci restava male, ma il fatto di suscitare una reazione forte in fondo non gli dispiaceva».
La politica è stata un’altra passione condivisa.
«All’inizio ero l’americana anticomunista, però non dicevo niente. Nel Natale del 1956 andai al consolato per ritirare il nostro visto per gli Usa: il funzionario mi tirò fuori un dossier su Gigi alto così. L’iscrizione al Pci, gli articoli sull’ Unità , le manifestazioni. Niente visto. Tentati di protestare ma fui liquidata: “non doveva sposare un comunista”. Ci saremmo riusciti tempo dopo grazie a Bob Kennedy».
Più tardi è diventata comunista anche lei.
«All’inizio Gigi pensava che l’iscrizione al Pci dipendesse dal mio sentimento per lui. Poi ha capito che era una scelta vera, profonda. In sezione, alla Giudecca, lavoravamo insieme agli studenti e agli operai. Eravamo compagni ».
Nell’opera “Intolleranza” c’è la figura della “compagna”.
«Dopo la sua morte ho scoperto che ero io. È la stessa serie che viene da Incontri , l’opera di Darmstadt dedicato al nostro incontro ».
Oggi cosa le manca di più?
«Mi manca l’abbraccio. E quegli occhi che non ti lasciano. In un certo senso ho la fortuna di continuare a vivere con lui, occupandomi della sua fondazione visitata da studiosi di tutto il mondo. Quando vedo i suoi vecchi filmati resto tranquilla, ma basta che cambi stanza, e senta la voce, solo la voce: ancora mi emoziono».
Alla fine dell’intervista Nuria va a cercare il testo di Incontri , la traduzione musicale del loro amore. Non resta che trascrivere le parole di Nono. Nella composizione Incontri si incontrano due strutture. Ognuna delle due strutture è in sé autonoma e si differenzia dall’altra nella costruzione ritmica, nel timbro e nella dinamica della proiezione armonica e melodica. Ma tra le due strutture esiste un rapporto di proporzioni costanti. Così come due esseri, distinti l’uno dall’altro e in sé autonomi, s’incontrano e possono nel loro incontro divenire non tanto un’unità, ma una reciproca corrispondenza, una coesistenza, una simbiosi . ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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