venerdì 9 ottobre 2015

Di profughi e migranti

Distinzione criminale Limiti e strumentalità della proposta Ue
Perché è irrazionale dividere i profughi dai migranti economici
di Alessandro Dal Lago il manifesto 9.10.15

In un vecchio film di guerra, alcuni soldati in trincea discutono di pace. Il modo migliore per ottenerla — dice uno — è , in caso di controversie tra gli stati, obbligare re e capi di governo a salire con i guantoni sul ring e suonarsele di santa ragione finché uno non vince.
La battuta mi è tornata in mente quando ho letto del piano segreto, elaborato dai ministri degli interni dell’Unione europea, per il rimpatrio di 400.000 migranti «economici».
Giusto per dare un’idea a questi pensosi statisti di che cosa significhi migrare oggi si potrebbe, che so, portarli (a cominciare dall’ineffabile onorevole Alfano) in qualche paese del centro Africa e poi, con un po’ di dollari o Euro raccolti tra altri ministri e sotto-segretari, trasportarli in autobus in Libia, imbarcarli su un gommone , farli rischiare il naufragio e arrivare fradici e affamati a Lampedusa, rinchiuderli nel Cie e, dopo una detenzione di durata indefinita, riportarli al punto di partenza. E chiedere loro: la pensate come prima? Avete ancora voglia di distinguere tra profughi e migranti economici? Non sarebbe il caso di rivedere questa distinzione ipocrita, utile solo per manipolare opinioni pubbliche paranoiche e destrorse? In un sogno o in un film, in caso di risposta sbagliata si potrebbe ricominciare con loro daccapo…
Quando Angela Merkel e il vice-cancelliere tedesco Gabriel hanno dichiarato, nello scorso agosto, di aprire le porte della Germania a 5 milioni di profughi, hanno realizzato un buon numero di obiettivi: rispondere a un’opinione pubblica tedesca complessivamente non insensibile agli Asylanten presenti e futuri, nonostante la rumorosa presenza del partito xenofobo Pegida e dei neo-nazisti, isolare le frange di estrema destra e, di fatto, assumere la guida politico-morale di un’Europa fragile, litigiosa e incerta sul da farsi in campo zionale. Ovviamente, considerazioni demografiche e finanziarie, in un paese in cui non nascono più bambini, devono avere avuto il loro peso, ma sta di fatto che l’odiosa Germania della crisi greca è diventata la nobile Germania d’agosto, non offuscata nemmeno dalla crisi della Volkswagen.
Ma tutto questo ha come contrappeso la distinzione tra profughi (vittime di guerra ecc.) e migranti economici, i quali affronterebbero deserti e mari, per non parlare di prigioni ungheresi e manganelli di mezza Europa, così, per sport o sete d’avventura, e non per sopravvivere o vivere meglio.
Una distinzione insensata, che non riesce a mascherare l’assoluta mancanza di una strategia europea nei rapporti con gli altri mondi e con le persone che per qualsiasi ragione ne provengono. Una distinzione che serve a tacitare le strumentalizzazioni lepeniste, leghiste e di Grillo (che sul suo blog ha pubblicato tempo fa un encomio di Orbán). In termini puramente quantitativi, 3 milioni di migranti «economici» in dieci anni non cambierebbero in nulla l’assetto demografico di una Ue che conta oggi 500 milioni di abitanti distribuiti su 4 milioni di chilometri quadrati.
Ma bisognerebbe cambiare metodo, emarginare sul serio gli Orban, i Salvini e Le Pen, impedire le stragi in mare, che continuano imperterrite alla faccia di Frontex, immaginare un’integrazione sociale decente per gli stranieri e disporre di una vera politica internazionale comune – invece che manganellare i migranti a Ventimiglia e Calais, moltiplicare i Cie e litigare in modo miserabile alle frontiere.
Ed ecco perché i ministri degli Interni, riuniti da qualche parte a stilare piani segreti di espulsione lasciano filtrare cifre prive di qualsiasi senso (400.000, 300.000, nessuno, tutti?).
Per coprire la loro mancanza di idee, che non siano lo sfruttamento della forza lavoro straniera e le preoccupazioni per le prossime elezioni. Nel frattempo, la ministra Pinotti e Matteo Renzi, che su queste materie non hanno mai nulla da dire, fanno scaldare i motori dei Tornado. 



La Ue prepara le espulsioni di massa

di Luca Fazio il manifesto 8.10.15

Immigrazione. La bozza del documento che verrà discusso oggi a Bruxelles dai ministri degli Interni di 28 paesi conferma quanto rivelato dal quotidiano inglese The Times. Non viene indicata la cifra precisa delle persone da rimpatriare ma si ammette che bisognerà "ricorrere al trattenimento come misura legittima di ultima istanza per garantire la presenza fisica dei migranti irregolari destinati al rimpatrio". Chi scappa dalla fame o da una dittatura verrà prima internato e poi imbarcato a forza su un aereo. Per il ministro degli Interni Angelino Alfano questa per l'Italia sarà la "prossima battaglia"
Tremila morti in meno di dieci mesi e il flusso ininterrotto dei migranti spogliati anche dei più elementari diritti umani non sono abbastanza: il peggio deve ancora venire. Perché l’accoglienza dell’Europa, se così si può chiamare, è arrivata al capolinea. Comincia il lavoro sporco, un altro crimine contro l’umanità. Lo dice il “piano sul rimpatrio dei migranti economici” che i 28 ministri degli Interni discuteranno oggi al Consiglio Ue di Bruxelles. Chi non era ancora riuscito a mettere a fuoco il volto peggiore dell’Europa, o stentava a crederci, presto dovrà ricredersi.
Più che una rivelazione del quotidiano The Times è la bozza di un documento il cui obiettivo finale è noto almeno dallo scorso settembre, anche se il giornale inglese azzarda la cifra — già smentita — di 400 mila persone da rimpatriare nelle prossime settimane. Questo piano si reggerebbe anche sulla minaccia di ritirare gli aiuti ed eliminare gli accordi commerciali con quei paesi che si rifiuteranno di collaborare (fra cui Niger, Mali, Somalia, Etiopia ed Eritrea). Inoltre, gli stati europei potranno recludere in apposite strutture tutte le persone in attesa di essere espulse e imbarcate a forza. Le nuove prigioni si chiamano “hotspot”, sarà la riedizione di un film dell’orrore già visto con i centri di detenzione (1998, legge Turco-Napolitano). Ma questa volta sarà un kolossal. E non c’è smentita che tenga, tant’è che la Commissione Ue ieri si è limitata a dire che “non ci sono cifre, qualsiasi cifra dipenderà dall’efficacia con cui i paesi membri applicheranno le regole” (Mina Andreeva, portavoce dell’esecutivo Ue). Potrebbero essere di meno, ma anche di più.
Dunque la sceneggiatura è scritta e non si andrà tanto per il sottile. La premessa, come si legge nel documento in discussione, è che gli “stati membri devono fare di più in materia di rimpatrio”, anche perché un aumento dei respingimenti “dovrebbe fungere da deterrente per l’immigrazione irregolare”. Come tornare all’anno zero di ogni riflessione politica per gestire il fenomeno migratorio da paesi dove si muore per fame e per guerra. Per rimpatriare centinaia di migliaia di esseri umani, quelli già sbarcati e quelli che ogni giorno tenteranno la fortuna da qui ai prossimi anni, l’Europa dovrà “adottare tutte le misure necessarie”. Serviranno risorse adeguate per organizzare i viaggi di ritorno (deportazioni), per il personale che gestirà le prigioni e dovrà procedere alle complicatissime procedure di identificazione e per i poliziotti che accompagneranno i migranti che opporranno resistenza. Esagerazioni? Tutt’altro. Compreso — si ammette nella bozza del documento — “il ricorso al trattenimento come misura legittima di ultima istanza”, per “garantire la presenza fisica dei migranti irregolari destinati al rimpatrio”. Chi scappa dalla guerra verrà messo in prigione. Punto. Per quanto tempo? Ancora non si sa. Che sarà un inferno, invece, è facile prevederlo.
Gli stati membri, inoltre, sono “vivamente incoraggiati” a richiedere “in modo più sistematico i servizi attualmente offerti da Frontex”, l’agenzia Ue per la gestione delle frontiere esterne. Un’altra linea di intervento prevede la “cooperazione” con i paesi di origine e di transito. Sono dittature, paesi ridotti alla fame o situazioni impossibili da gestire, come il caos libico da dove partono quasi tutte le imbarcazioni verso l’Europa. Il caso dell’Italia è esemplare. Nel 2015 sono sbarcati in Italia circa 30 mila eritrei ed è davvero impensabile che si possa anche solo immaginare di rispedirli indietro in accordo con uno dei regimi più spietati del mondo, un paese dove quei pochi che hanno un lavoro guadagnano dieci euro al mese (i somali sono quasi 9 mila e i sudanesi poco meno di 7 mila).
Il compito però non sembra spaventare il ministro degli Interni Angelino Alfano che già parla di “irregolari”, parola chiave che servirà all’Europa per sbarazzarsi di migliaia di esseri umani impugnando il nuovo diritto internazionale razzista. “Quando i migranti arrivano in Italia — ha spiegato — in Italia si deve fare la prima scrematura tra migranti e profughi e gli irregolari devono essere rimpatriati. La politica dei rimpatri sarà la nostra prossima battaglia, perché se funzionerà avremo dato una risposta seria ed effettiva”. Anche per il mite ministro degli Esteri Paolo Gentiloni i rimpatri di massa in Africa sono cosa buona è giusta: “Ben venga una iniziativa dell’Ue, ci aspettiamo nelle prossime settimane anche stanziamenti, investimenti e impegni organizzativi”. Solo negli ultimi due giorni in Italia sono sbarcate 3.028 persone. Ci sarà tanto lavoro da fare.


















L’Europa getta la maschera
di Alessandro Dal Lago il manifesto 13.11.15
Al vertice di La Valletta tra i leader europei e africani ha vinto il cinismo globale. Noi vi diamo un miliardo e ottocento milioni di euro e voi ci tenete i migranti lontani dalle coste e dai confini della Ue. Non bastano, hanno rilanciato subito i leader africani, i quali si divideranno però la mancia, anche se nessuno sa di preciso come e quando. Qualche tempo fa, Angela Merkel, che pure aveva suscitato grande scalpore e simpatia dichiarando di aprire le porte della Germania ai profughi siriani, aveva fatto una proposta simile al governo turco, il quale ha risposto più o meno picche. Qual è il senso di questo mercanteggiamento sulla pelle di centinaia di migliaia di esseri umani?
Facciamo un passo indietro. Offrire un po’ di quattrini in cambio delle repressione dei migranti da parte dei paesi «di fuori» è prassi ventennale in Europa. L’allora ministro Dini propose nel 1995 di aprire campi di detenzione per «clandestini albanesi» in Albania. Un’idea così insensata che Tirana la lasciò subito cadere. I governi italiani hanno sempre stipulato trattati di riammissione con Tunisia, Libia ecc., per lo stesso «nobile» motivo e infischiandosene se, con Gheddafi e Ben Alì, i migranti venivano vessati, spogliati di tutto e fatti morire nel deserto. Dal 2000 in poi, la prassi è divenuta normale per l’Unione europea. Diciamo che da ieri la politica della Ue verso l’Africa ha gettato trionfalmente la maschera.
Salvini, Le Pen, Grillo, Pegida ecc. diranno che è troppo poco, ma in fondo ammetteranno che questa è la strada giusta. «Aiutiamoli a casa loro!» non era forse uno slogan di Bossi?
Ora, la realtà, secondo stime della World Bank, è che solo una quota minima di migranti sub-sahariani (il 30% del totale) sceglie di spostarsi verso l’Europa, mentre più della metà migrano verso altri paesi africani e una piccola quota in Asia In altre parole, anche l’Africa è soprattutto terra di immigrazione. Analogamente, gran parte dei rifugiati e profughi di guerra è ospitata non in Europa, ma in Turchia, Giordania, Libia o e così via. Come spiegare allora il vertice di La Valletta?
Si tratta di una sorta di esternalizzazione preventiva, il cui scopo è scaricare sui paesi africani il controllo sia dei loro migranti e profughi, sia di quelli, provenienti dall’Asia, che scegliessero le rotte africane dopo la chiusura delle frontiere mediterranee e balcaniche. E come? In sostanza, incarcerando migranti e profughi, in lager vecchi o nuovi, grazie alla carità pelosa della Ue, in attesa che la situazione in Tunisia, Libia (e Siria) si chiarisca, magari con qualche bombardamento o intervento limitato. D’altronde, niente di nuovo sotto il sole: è da una quindicina d’anni che paesi come il Marocco o la Tunisia allestiscono Cpt a vantaggio dell’Europa.
E così lo scenario che si disegna è quella di un continente di 480 milioni di abitanti che dice di andare in crisi per l’arrivo di alcune centinaia di migliaia di persone, che sigilla le frontiere nei già turbolenti Balcani provocando una crisi dopo l’altra tra Austria, Ungheria, Slovenia, Croazia ecc., che si fa condizionare da nazisti o da gente alleata di Casa Pound, che dice di combattere i trafficanti per tener fuori migranti e profughi – e che soprattutto sta militarizzando il Mediterraneo, intasandolo di fregate e cannoniere, manco fossimo nel caos che ha preceduto la prima guerra mondiale.
Queste centinaia di migliaia di esseri umani in fuga dalla guerra o della fame sono divenuti merce di scambio e ricatto politico tra maggioranze e opposizioni, tra governi europei e potenze emergenti, tra Ue e stati africani o asiatici. Un bambino morto su una spiaggia turca emoziona il mondo, ma l’emozione sfuma in pochi giorni e lascia lo spazio a queste tremende burocrazie europee e statali con le loro organizzazioni e nuove missioni dai nomi dementi, Frontex, Triton, Eunavfor Med e altre che inevitabilmente impareremo a conoscere. Tutte prive di senso rispetto al loro obiettivo sbandierato di salvare vite umane, ma tutte coerenti nel controllare, registrare e internare.
In questo panorama di sigle, dichiarazioni, accordi, leggi prive di senso, facce feroci di ministri e migliaia di poveri annegati, spicca il sorriso vacuo di Renzi. Certo l’Italia non è più sola. È davvero in buona compagnia. 

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