martedì 13 ottobre 2015

Il Keynes di Jespersen

coperitna di John Maynard Keynes. Un manifesto per la «buona vita» e la «buona società»Jesper Jespersen: John Maynard Keynes. Un manifesto per la «buona vita» e la «buona società», introduzione di Bruno Amoroso, Castelvecchi, pp. 156, euro 17,50

Risvolto
Il nome di John Maynard Keynes continua a ritornare nell’attuale dibattito politico-economico. Il libro di Jesper Jespersen, tra i più importanti economisti europei e tra i maggiori esperti di keynesismo, mette in rilievo le ragioni della continua ripresa delle teorie elaborate da Keynes più di settant’anni fa, spiegando come spesso le sue idee siano fraintese e talvolta stravolte. Questo rinnovato interesse per lo studioso di Cambridge è dovuto alla sua insuperata modernità che già nel primo dopoguerra, con l’elaborazione della visione macroeconomica dei processi capitalistici, lo poneva più avanti dei suoi colleghi, ancora legati a una concezione limitata alle realtà familiari e nazionali. Dinanzi alle sfide che l’Europa si trova ad affrontare oggi, la filosofia sociale di Keynes – ispirata alla costruzione di un sistema economico internazionale che coniuga il libero commercio e la regolamentazione del mercato dei capitali – può costituire uno straordinario contributo nella direzione di una politica coordinata e solidale, che rispetti le diversità e le situazioni dei singoli Paesi.

Occupazione, benessere e libertà I veri motivi per tornare a Keynes 13 ott 2015 Libero SIMONE PALIAGA
Torniamo a Keynes! Recuperiamo Keynes! Keynes! Keynes! Sembra un mantra recitato senza posa. Nei talk show, nei dibattiti o sulla stampa ci si richiama alla sua strategia economica. Pare a molti che sua sia la ricetta adatta per lasciarsi alle spalle una crisi sempre più strutturale. Quante volte abbiamo sentito invocare il suo nome e pretendere l’intervento dello Stato nelle dinamiche di mercato per regolarne l’anarchia. Come dalla crisi del 1929 se ne uscì attraverso politiche keynesiane, lo stesso si potrebbe fare oggi. 
Però l’immagine dell’economista britannico restituita da questi dibattiti di rado coincide con la sua figura. E ancora meno ci permette di capire a fondo il suo pensiero. Per addentrarci nel cuore della questione un buon viatico è il volume John Maynard Keynes. Un manifesto per la «buona vita» e la «buona società» (Castelvecchi, pp. 156, euro 17,50, con un’introduzione di Bruno Amoroso) dell’economista danese Jesper Jespersen. Che oggi alle 14.30, presso il Dipartimento di Economia di Roma Tre (via Silvio D’Amico 77), terrà la lectio magistralis «Keynes’s vision for today: employment, prosperity, equality» . 
Jespersen coglie il bersaglio, perché di Keynes, di solito, si agita solo l’aspetto economico, senza capire la complessità della sua riflessione. La sua teoria macroeconomica ha senso solo se incastonata nella sua visione complessiva della società, poiché l’economia dev’essere funzionale alla realizzazione della buona vita. «Le politiche economiche», ammonisce Jespersen, «non possono mai essere altro che un mezzo per creare il quadro di una società civilizzata dove l’amore, la bellezza, la verità e la conoscenza siedono al posto di guida, indipendentemente dal modo in cui poi si utilizza il denaro». 

Ecco il vero Keynes. 
Questa lettura nasce dallo studio dell’ambiente in cui Keynes si forma. Nella critica alla morale vittoriana, nel mettere in crisi l’utilitarismo diffuso àla Sidgwick, fino all’insoddisfazione che proviene dalla lettura dei Principia Ethica di G.E. Moore si trovano le radici del pensiero di Keynes. 
L’idea di massimizzare l’utilità dei consumatori e il profitto dell’impresa, i due pilastri della teoria neoclassica oggi così diffusa, risalgono alla seconda metà del XIX secolo. Riflettono una morale basata sull’utilità materialistica e contabile. Per Keynes, però, queste premesse non sarebbero le basi solide su cui costruire delle argomentazioni fondate. Esse infatti poggerebbero su «un calcolo benthamiano», il che significa che propagherebbero un utilitarismo della peggior specie riassumibile nell’infelice formula dell’analisi di costi e benefici. 
Il difetto di tale impostazione, sottolinea Jespersen, è di separare l’uomo dal tutto. Solo se il tutto funziona, e bene, è possibile per l’uomo realizzare la sua buona vita. «La buona società», spiega l’economista danese, «non può essere basata su azioni razionali e individuali, anche se eticamente giustificate. Questo non solo perché le persone non sono “buone” come forse “dovrebbero”; ma soprattutto perché i contesti socio-economici sono così complessi che non possono essere riflessi in azioni individuali, anche se di per sé razionali. Azioni individuali anche se ben motivate non portano automaticamente a un’economia ben funzionante».  
Solo l’intervento dello Stato sarà in grado di ridurre l’incertezza macroeconomica permettendo ai singoli un maggiore sviluppo individuale. «Il desiderio dell’economista britannico era quello di liberare il popolo dalla giostra dell’economia, il che richiede opportunità di lavoro per tutti. Ma fino a quando la disoccupazione imperversa, non c’era proprio nessuna libertà per gli individui di scegliere il contenuto individuale specifico della loro buona vita». Ecco perché dalla metà degli anni ’20, la lotta alla disoccupazione divenne prioritaria per Keynes. Non solo per ragioni di Pil o perché la disoccupazione è un’ingiustizia sociale, ma perché limita le possibilità dell’individuo di plasmare la propria «buona vita».

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