Rebecca West:
Serra con ciclamini. Il processo di Norimberga e la rinascita economica della Germania, Skira, Milano, pagg. 176, € 16,00
Risvolto
Per la prima volta in italiano, viene qui pubblicato il reportage
sugli ultimi giorni del Processo di Norimberga scritto nel 1946 dalla
giornalista e romanziera Rebecca West, acclamata l’anno dopo “migliore
scrittrice al mondo” da “Time”.
Con il suo stile asciutto,
sarcastico e ricco di immagini paradossali, l’autrice ci permette di
“sfiorare” i leader del Nazismo in attesa di una sentenza ineluttabile e
di toccare con mano una Germania certamente prostrata dalla guerra ma
impegnata con tutte le proprie forze a trovare una catarsi. Rebecca West
tornerà altre due volte in Germania, tra il 1949 e il 1954,
descrivendone vividamente l’incredibile ripresa economica, nonostante le
pesanti costrizioni imposte dai paesi vincitori, i conflitti interni
fra gli alleati, i 10 milioni di esuli che si sono riversati sulle sue
terre...
Emblematicamente, allora, l’anziano giardiniere con una
gamba sola, tutto preso dalla sua serra e dalla coltivazione di
ciclamini da mettere in commercio, diventa per West il simbolo di questa
ripresa: “Era fuggito in un’altra dimensione, in cui il dolore non
aveva potere su di lui. Era fuggito nel suo lavoro”.
Una rilettura del passato fondamentale per capire la Germania di oggi.
Rebecca West, pseudonimo di Cicily Isabel Fairfield (1892-1983), è stata una giornalista, scrittrice e critica britannica.
Tra
le sue opere più note, Black Lamb and Grey Falcon (1942, pubblicato in
Italia in tre volumi da EDT), analisi approfondita della politica, della
cultura e della storia jugoslave, e soprattutto la Trilogia degli
Aubrey (Mattioli 1885, 2010).
Rebecca West Il «tradimento» di Norimberga
di Francesco Perfetti Domenica del Sole 24Ore 8.11.15
Al
culmine della sua notorietà come giornalista e come scrittrice, Rebecca
West si recò nel 1946 a Norimberga per assistere all’ultima fase del
processo contro i criminali nazisti. Ne fece per la rivista americana
«The New Yorker» un resoconto che non ha nulla in comune con gli altri
importanti scritti sull’argomento. In quelle pagine c’era, sì, la
descrizione delle ultime sedute del processo, ma anche c’erano certi
ritratti indimenticabili e fulminanti, quasi da antologia, degli
imputati principali, colti con pochi ma efficaci tratti di penna. Rudolf
Hess, per esempio, appariva così «evidentemente pazzo che sembrava una
vergogna processarlo». Hermann Göring, poi, il cui aspetto era
«fortemente ma oscuramente allusivo al sesso» suggeriva l’idea di «una
maitresse di un bordello», mentre Baldur von Schirach, che era stato a
capo della Hitler-Jugend, «stupiva perché sembrava una donna in un modo
non comune tra quegli uomini che assomigliano alle donne».
Il
resoconto della West non riguardava tanto lo svolgimento vero e proprio
del processo quanto piuttosto l’atmosfera che vi si respirava sia fra
gli imputati sia fra i giudici sia ancora fra i giornalisti presenti.
Ma, soprattutto, tentava di capire e di far capire i sentimenti più
intimi della popolazione tedesca, alle prese con i problemi della vita
quotidiana in un Paese ridotto in macerie, mentre nel Palazzo di
Giustizia di Norimberga si svolgeva il dibattimento la cui conclusione
non poteva che essere scontata: sentimenti confusi che andavano da una
ostentata e falsa indifferenza a un segreto senso di colpa collettiva,
da manifestazioni di indignazione a timori inespressi. Il tutto,
raccontato in pagine coinvolgenti e di eccezionale potenza espressiva.
Quel
processo, avrebbe amaramente scritto la West qualche tempo dopo, si
rivelò «un tradimento delle speranze che aveva suscitato» perché
«condotto da funzionari malati dalla stanchezza lasciata da una grande
guerra, frequentato solo da una manciata di spettatori, inadeguatamente
coperto dalla stampa, costantemente frainteso» finì per non imprimere
un’immagine chiara sull’animo delle persone che avrebbe dovuto
raggiungere. Ma, se pure «fu uno di quegli eventi che non diventano
un’esperienza», ebbe pur sempre un suo valore di monito.
Qualche anno
dopo, nel 1949 e nel 1954, la West tornò in Germania e gli scritti
relativi a questi viaggi confluirono, insieme al resoconto del processo
di Norimberga, nel bellissimo volume Serra con ciclamini pubblicato ora,
per la prima volta, in edizione italiana. Trovò un Paese diverso, che
stava metabolizzando le tragedie del passato e, al tempo stesso, stava
avviandosi sulla strada della ricostruzione economica in preda a una
«spinta verso l’operosità» e a una incredibile «libidine di lavoro». Le
imposizioni dei vincitori e i conflitti fra gli alleati, la divisione di
Berlino, la Guerra fredda erano tutti elementi che non incidevano sulla
volontà di ripresa, morale e politica oltre che economica, di un popolo
del quale il «venditore di ciclamini», un anziano giardiniere, privo di
una gamba e intento a coltivare le piante nella sua serra senza più
pensare al passato, diventava simbolicamente, nell’immagine della West,
un simbolo di speranza per il futuro: «Era fuggito da un’altra
dimensione, in cui il dolore non aveva potere su di lui. Era fuggito nel
suo lavoro». Quel che colpiva l’osservatore era il fatto che, al di là
della divisione politico-amministrativa del territorio imposta dalle
grandi potenze, tutti i tedeschi guardassero con sospetto a progetti di
assistenzialismo e di economia pianificata e credessero, invece,
fortemente nella libera iniziativa: «Pensavano che se la gente avesse
fatto quello che voleva, mangiato quello che le piaceva, agito come le
piaceva, e venduto quello che le piaceva, le leggi di domanda e di
offerta avrebbero funzionato in modo così sano che alla fine ogni
cittadino avrebbe avuto una sostanziosa fetta di torta e non ci sarebbe
stato motivo perché nessuno dividesse alcunché con chicchessia». Era
passato qualche anno, all’epoca di questo nuovo viaggio della West, dal
processo di Norimberga. La Germania stava voltando pagina.
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