intervista di G. C. Repubblica 8.11.15
ROMA «Sinistra italiana parte con il piede sbagliato se il primo obiettivo è colpire il Pd e la sinistra dem. È un errore clamoroso ». Roberto Speranza, leader di sinistra dem, difende il Pd e la minoranza che si muove «nell’orizzonte politico di ricostruire il centrosinistra».
Speranza, se lo aspettava che Fassina e D’Attorre appena usciti dal Pd attaccassero Bersani e voi della minoranza?
«Ho molto rispetto per le scelte sofferte fatte da questi amici. So che c’è una inquietudine vera in un pezzo del nostro mondo e chiedo a Renzi di non sottovalutarla con un’alzata di spalle. Però l’obiettivo deve essere quello di ricostruire il centrosinistra in Italia e allora non si può che partire dal Pd».
Lei pensa a un lavoro comune con “ Sinistra italiana”?
«Un filo comune, un filo rosso ci deve esserci tra chi sta dentro il Pd e si batte per evitare la prospettiva del Partito della Nazione e chi ne è ormai fuori, purché si continui a credere nella prospettiva del centrosinistra. Che non si può costruire senza il Partito democratico. Trovo molto sbagliato immaginare che il primo obiettivo di una forza di sinistra sia attaccare il Pd e in modo particolare chi, come noi della minoranza, si spende per mantenere il partito ancorato alla propria vocazione originaria ».
Bersani, e voi con lui, vi illudete, secondo Fassina, che Renzi possa fare politiche di sinistra.
«Voglio battermi con tutte le energie per questo obiettivo. La sinistra in Italia è il Pd prima di tutto così come il Pd senza sinistra non può esistere».
Un infortunio quindi quegli attacchi?
«I nemici della sinistra nel nostro paese sono altri. Sono i populismi, la destra demagogica e xenofoba. Chi vuole alimentare la sinistra non può avere come nemico il Pd».
Lei non crede quindi che si sia già trasformato nel Partito della Nazione?
«Penso di no e mi voglio battere tutti i giorni perché questa prospettiva sia evitata. Alcune misure anche nella legge di Stabilità hanno un tratto da Partito della Nazione. Perciò cercheremo di modificarle in Parlamento ».
Nessuna tentazione di scissione?
«Rispetto per chi è uscito. Dialogo. Ma reputo la loro una
scelta sbagliata».
Crede che “Sinistra italiana” faccia il gioco della destra?
«Non penso che faccia il gioco della destra però gli dico: “Attenzione, abbiamo un comune avversario e sta nella piazza di Bologna di Salvini e Berlusconi e nel populismo di Grillo».
Il rischio insomma di un assist a destra c’è?
«Conosco questi amici e non è questo il loro obiettivo».
Ci sarà un problema di alleanze alle amministrative di primavera?
«Spero che si possa ricostruire il centrosinistra a cominciare da quella tornata elettorale. Se il Pd non regge, la sinistra in Italia diventerà una cosa residuale»
La Stampa 8.11.15
Il mix che manca agli anti-renziani
di Massimiliano Panarari
C’è un nuovo «sceriffo» in città. O, meglio, c’è una nuova isola nel frastagliato arcipelago (più o meno) radical. Con la nascita di Sinistra italiana si assiste all’apertura di un altro cantiere (che si affianca a quello, «in sonno», della Coalizione sociale di Maurizio Landini) e a un ulteriore tentativo di occupare lo spazio a sinistra del Pd «nella versione dei Matteo» (Renzi e Orfini). Un brand che, dal punto di vista del nome (e della sigla), va all’essenziale (ricordando un po’ l’omonima formazione ex comunista tedesca, «Die Linke»), e vuole contrastare il progetto di partito pigliatutto a cui sta lavorando la maggioranza renziana.
Se guardiamo al mercato elettorale in termini di domanda, è verosimile – lo dicono i numeri (anche quelli più recenti dell’astensionismo) – che vi sia potenzialmente molta (o, quanto meno, abbastanza) agibilità per una forza anti-liberista collocata a sinistra del Pd. È, però, altrettanto verosimile che nella realtà delle urne tale richiesta non si tradurrà in un successo di tali proporzioni per i partiti e i soggetti radicali esistenti. Non soltanto per la peculiarità tutta nostra della presenza del Movimento 5 Stelle, «non partito» post-ideologico che acchiappa voti anche a sinistra, ma perché, più complessivamente, l’offerta attuale non appare adeguata a intercettare la domanda. Quella presentata ieri al Teatro Quirino costituisce infatti, in piena età della disintermediazione, l’ennesima operazione top-down (dall’alto in basso) effettuata da un ceto e personale politico che si organizza senza riuscire affatto ad avvicinarsi ai connotati del tanto citato «modello Podemos» (non a caso, la partenza avviene proprio sotto forma della costituzione di un gruppo dentro il Parlamento mentre i suoi dirigenti annunciano con aria intransigente che non si tratterebbe di un «gioco di palazzo»).
Una volta di più, dunque, si evidenzia come la debolezza strutturale della sinistra-sinistra nostrana consista nell’avere mancato l’appuntamento con il cambio di paradigma imposto dal postmoderno. Quello che prevede come formula magica (e, quindi, vittoriosa) per una forza politica la capacità di miscelare in giuste dosi tre elementi: un leader forte e visibile, forme organizzative innovative e strumenti di comunicazione efficaci (oltre, naturalmente, a un «blocco sociale» di riferimento, legge della politica eternamente valida). Un mix di cui non paiono esservi molte tracce nella nata già vecchia Sinistra italiana. La leadership unitaria non si intravede (ed è ideologicamente assai poco nelle corde dei promotori), mentre è facile immaginare una mentalità ancora piuttosto fordista e la nostalgia organizzativa del partito di integrazione di massa (solo che le masse non ci sono più...). La comunicazione? Questa sconosciuta (e «peccaminosa»), secondo i riflessi condizionati dei radical italiani (con l’eccezione della stagione del vendolismo). In tutto e per tutto, dunque, una sinistra tipicamente novecentesca che si autodichiara, per di più, (neo)socialdemocratica. Come se il Secolo breve e l’epoca delle grandi narrazioni non fossero stati spazzati via dallo tsunami della postmodernità.
“Capaci di governare con un’agenda alternativa”
Non siamo reduci della Rivoluzione d’ottobre
di Francesca Schianchi La Stampa 8.11.15
Ci racconteranno come i reduci della Rivoluzione d’ottobre», sospirava Stefano Fassina davanti a una piccola folla in tarda mattinata. Due ore dopo scende dal palco soddisfatto, per mano alla figlia Cecilia: «C’è un popolo democratico che vuole tornare a sperare».
Dove andate, Fassina?
«Vogliamo essere una sinistra capace di governare su un’agenda alternativa. Le nostre proposte le porteremo in giro per l’Italia».
Fate un soggetto unitario della sinistra o sarà la solita maxi alleanza che poi litiga su tutto?
«Siamo stati chiari: no ai cartelli, alle federazioni, agli arcobaleni. Si fa un partito. Il percorso è ancora lungo, ma oggi è stata una tappa importante».
Civati è fuori dal percorso?
«Assolutamente no. Civati è uno di noi. A gennaio ci sarà l’avvio della fase costituente e saremo tutti insieme».
Alle amministrative di primavera vi alleate col Pd o no?
«A Roma, a Torino, a Napoli, a Bologna, non mi sembra ci siano le condizioni».
E a Cagliari, dove l’uscente è Zedda di Sel?
«Lì credo che le condizioni per andare insieme al Pd ci siano».
Quindi la linea non è «mai col Pd».
«Al Pd del Jobs act o dell’Italicum siamo alternativi. A Torino siamo alternativi perché Fassino è il protagonista di una stagione di interventi regressivi. Quello che conta sono i programmi e la classe dirigente».
A Roma sarebbe favorevole a una ricandidatura di Marino?
«Per colpa del Pd, la sua fase si è chiusa, e credo che quell’esperienza abbia dato quello che poteva».
Si candida lei?
«Ora stiamo lavorando al programma, non è il momento di discutere le candidature».
Dal palco ha parlato di «regime insostenibile della moneta unica»: bisogna uscire dall’euro?
«Non ho detto questo. Quest’ Europa va corretta radicalmente, e le sinistre europee devono mettere sul tavolo un piano B, per costruire un altro regime monetario, come strumento negoziale».
Fate il gioco della destra?
«No: il gioco della destra lo fa chi fa la destra sul lavoro con il Jobs act, sulla scuola, sull’Italicum, sulla Rai…».
Secondo Bersani la sinistra può essere solo nel Pd...
«Temo che Bersani si illuda. Guardi con più attenzione fuori dal Pd, a quanto popolo democratico ha rotto i rapporti con quel partito».
Voi intanto lo aspettate?
Fassina sorride in silenzio; lo affianca Arturo Scotto: «Bersani? Certo che lo aspettiamo...».
Civati «Parterre politicizzato, il mondo non lo è più»
intervista di Monica Guerzoni Corriere 8.11.15
ROMA Pippo Civati, al Quirino mancava solo lei.
«Non ho raccolto l’invito perché non faccio parte del gruppo parlamentare che nasce. Non mi piace il metodo, è una operazione di vertice».
Lei cosa avrebbe fatto?
«Sei mesi fa noi abbiamo proposto un lavoro più lungo, ma più denso. Io avrei messo su dei comitati, in giro per l’Italia, che venivano da esperienze diverse. Questa soluzione non è piaciuta e non è che ora si può fare il contrario».
La sinistra nasce spaccata.
«Non è colpa mia. Sinistra Italiana è un gruppo parlamentare che si estende, non un partito. Sel non ha convinto neanche i Verdi, Rifondazione, l’Altra Europa con Tsipras...».
Il Quirino era stracolmo.
«Non mi sorprende, c’è bisogno di sinistra. Segnalo però che, nel periodo precedente, abbiamo visto altrettante platee piene, da Roma a Firenze».
Che fa, gufa?
«Non mi fraintenda. Io sono contento che ci fosse tanta gente, segnalo però che un altro pezzo di platea non è rappresentato ed è destinato a crescere, contro queste formule in cui i politici si mettono d’accordo e dicono “facciamo un partito”. Io la penso al contrario, dal basso verso l’alto».
Non avrà ragione chi la accusa di fare la primadonna?
«Io sono l’ultima donna, non la prima. Sto cercando di costruire un movimento diffuso, che si raccoglie attorno a un’idea e non attorno a un leader. E poi scusi, l’accusa di essere una primadonna me la facevano anche quando stavo nel Pd. Basta, sarei anche un po’ stufo di queste battute».
E il suo videomessaggio? Lo stanno ancora aspettando.
«Non ho promesso niente, gli uffici stampa la smettano di dichiarare cose non vere».
Perché tanta freddezza?
«No, sono solo stanco di essere chiamato in causa da persone alle quali ho proposto ora i referendum, ora l’associazione Possibile. Mi hanno sempre risposto di no. E poi, scusi, se avessi voluto entrare in Sel potevo farlo all’inizio di maggio».
Non si sente un po’ solo?
«Anche questa idea che loro siano l’unica cosa che c’è, non è vera. Settimana prossima presentiamo una nuova componente alla Camera che ha una certa dignità ed è l’unione tra Possibile e Alternativa libera».
E gli attacchi al Pd?
«Non capisco perché il Pd sia stato attaccato così tanto, quando poi a Milano Sel partecipa alle primarie. Ci vuole uno sguardo molto più rappresentativo della tradizione socialista, liberale e verde. Si può fare la stessa cosa senza fermarsi alle formule di partito».
Le è piaciuto il parterre?
«Mi è sembrata una assemblea molto politicizzata, quando c’è tutto un mondo che non lo è più, anche dal punto di vista generazionale».
Il vecchio che avanza?
«Bisogna rivolgersi anche ai giovani, fare alleanze senza Pd e costruire il programma con lo sguardo largo di un movimento politico e non di un gruppo parlamentare».
E Bersani, che resta nel Pd?
«Io penso che il ponte sullo Stretto abbia dato la risposta a tutti gli interrogativi di Bersani. Mi auguro che la sinistra del Pd non chieda di aggiungere una pista ciclabile, per poi votarlo».
La Stampa 8.11.15
Civati
“Collaborerò, ma la nostra è una sfida ad altri elettori”
Partiamo dal basso, non dai delusi Pd
intervista di Francesco Maesano
Pippo non ci sta. Mentre a Roma Sel e un gruppo di ex-Pd si uniscono in matrimonio e celebrano la nascita di Sinistra Italiana, Civati guarda tutti da lontano. Il suo orizzonte è Napoli, 21 novembre, stati generali di Possibile: quello che sperava potesse essere un cantiere aperto a tutti gli scontenti a sinistra di Renzi. E invece.
E invece questa Sinistra Italiana cosa le sembra?
«Con loro collaborerò sempre con grande disponibilità. Ma quella platea non è la mia. Cos’è il popolo della sinistra? Chi milita in un partito o in un sindacato?»
Troppo ceto politico?
«Non so se era ceto politico ma di certo era un ceto molto politicizzato. C’era molto Pd in transito. Noi invece lanciamo la sfida a diverse generazioni di persone, a diversi tipi di elettori».
Siete postideologici. Si può dire?
«Sì, siamo una forma di sperimentalismo democratico».
E in parlamento Possibile quanto peserà?
«Stiamo per lanciare la componente nel Misto con gli ex-M5S di Alternativa Libera più altri soggetti».
Quali?
«Per ora non li dico».
In cosa siete diversi voi e Sinistra Italiana?
«Nell’approccio. Sinistra Italiana è un gruppo parlamentare che diventa un partito. Per me è un errore. Tutti dicono che bisogna partire dal basso, io ci sto provando a costruire una sinistra che parte dalla società e si rivolge alla società».
Divisi a sinistra. Ci sono anche ragioni personali?
«A sinistra c’è lo stesso numero di partiti di prima».
Non se la cava con una battuta. Non ci sono distanze con alcuni, ad esempio con D’Attorre?
«Quando era in segreteria con Bersani ci andava giù duro anche con me. Ma nessun rancore, solo questioni politiche».
Mai insieme?
«Se le differenze si assottiglieranno allora sarà un bene. Noi speriamo sempre di andare a elezioni insieme».
Mai col Pd.
«Eh no. Non capisco come si faccia a fare sinistra alternativa al Pd partendo dall’alleanza col Pd come fa Sel a Milano».
Quanta sinistra è rimasta nel Pd?
«C’è rimasto un pezzo ininfluente, basta guardare l’annuncio di Renzi del ponte sullo stretto. Certo, a meno che la sinistra Pd non proponga di metterci su una pista ciclabile».
La folla rossa tra antichi compagni, comizi in strada e Bella Ciao
di Tommaso Ciriaco Repubblica 8.11.15
ROMA. Dal loggione del teatro Quirino scintillano i colori della “Cosa rossa”. L’arancione un po’ stinto del logo “Sinistra italiana” e il bianco avorio delle chiome dei militanti. Passione politica e una spruzzata di vintage. Salpa la nuova sinistra. Dal bagaglio a mano spunta qualche tessera strappata del Pd, ma non c’è ancora traccia di un leader.
Sono in tanti a sacrificare questo sabato mattina di sole, che solo per caso coincide con la rivoluzione bolscevica del 7 novembre. «Guardi i messaggini sul cellulare – sorride Alfredo D’Attorre – c’è un mondo di democratici che non aspetta altro. Noi siamo qui per accoglierli». Elettori delusi, come la signora di mezza età che ammette: «Siamo su un filo sottile, se cadiamo resta solo Grillo». Nostalgici, come il suo vicino di poltrona: «Io sono del Pci». Oppure infuriati: «Ho lasciato il circolo Pd di Acilia da qualche mese - ricorda -Ne abbiamo passate tante, passerà anche il governo del c......».
A un certo punto i vigili del fuoco sprangano l’ingresso. Troppa gente. «Una volta volta tanto...», ironizza uno. Chi è rimasto fuori resta comunque in fila, stoicamente. «Questi giustamente so’ inc...», sintetizza Stefano Fassina. E quando la pazienza è al limite, una signora dai capelli arancioni ha un colpo di genio: «Una mattina mi sono svegliato, o bella ciao, bella ciao...». Cantano tutti. Solo il professor Carlo Galli, eletto nel Pd e appena transitato nella Sinistra italiana, non vuole attendere e si pianta davanti alla porta a vetri. Per entrare quasi travolge la signora all’ingresso. «Devo passare, io devo parlare!». Interverrà tre ore più tardi.
Sul palco c’è spazio solo per due deputate e un tavolinetto Ikea, mentre le prime file sono colonizzate dai gruppi dirigenti di Sel. Dei delusi del Pd si è detto: elettori, ma pochissimi quadri. Il resto sono big di ieri e di oggi con il cuore a sinistra: Valentino Parlato e Aldo Tortorella, Cesare Salvi e Pietro Folena, Fabio Mussi e Franco Giordano, Salvatore Settis e Luca Casarini e Alfiero Grandi, Curzio Maltese e Giuliana Sgrena, il responsabile Mezzogiorno Gianni Speranza e parecchi dirigenti della Cgil. Ecco la nuova sinistra antirenziana e radicale. Forse keynesiani, comunque supportati dalle teorie del Nobel Stiglitz.
Identità cercasi, assieme a un leader. Nichi Vendola è bloccato in Puglia da problemi familiari, ma è comunque troppo ingombrante per timonare. Con Maurizio Landini il feeling non è mai nato. Pippo Civati ha dato buca, inseguendo “Possibile” e conquistando la vetta del “rancorometro” in sala. Di Giuliano Pisapia non c’è traccia, magari cambiasse idea. Per paradosso tocca ai figli della Ditta occupare il vuoto alla sinistra di Bersani. Come due stelle, così si muovono Fassina e D’Attorre. «Alfredo è bravissimo – sussurra Massimiliano Smeriglio, vicepresidente del Lazio - e assomiglia a un Berlinguer del 2015». Siccome in teatro restano solo posti in piedi, proprio loro – assieme a Nicola Fratoianni – improvvisano un comizio per strada. Un successone. Per ascoltare meglio qualcuno sale pure sulle ruote delle auto in sosta. Applausi, qualche pernacchia al Pd e militanti entusiasti.
Dal palco, intanto, prendono la parola soprattutto i nuovi arrivati. «Come vede c’è poco spazio per i reduci – sorride Fassina - perché oggi tocca soprattutto a una nuova classe dirigente». Compagni o amici, questo è il dilemma per chi interviene. Claudio Fava fa la scelta sbagliata. «Compagniii, devi chiamarci compagniii...», gli urlano. I giovani non sono molti. «Dovremmo prendere due picciotti ciascuno ed educarli alla politica», ammette l’ex grillino Francesco Campanella. L’ultima foto è quella dei nuovi gruppi parlamentari, spinti quasi a forza sul palco con le note di un rock alternativo. Ma scaldava di più Bella ciao.
Repubblica 8.11.15
Sfida di Sinistra Italiana “Contro Renzi nelle città Bersani si illude sul Pd”
Mille con Fassina e D’Attorre: “Fermiamo il liberismo stile Happy Days”. Il premier: “Solo un delirio onirico”
di Giovanna Casadio
ROMA Renzi come Fonzie. E la sinistra «patriottica» - battezzata appunto “Sinistra italiana” ha l’obiettivo dichiarato di essere l’alternativa all’Happy Days renziano. Il manifesto della nuova sinistra - che ieri si è riunita al teatro Quirino, ha creato un gruppo parlamentare di 31 deputati e presto, sperano, di dieci senatori - lo lancia Stefano Fassina. Quel “Fassina, chi?” con cui Renzi, appena nominato segretario dem nel 2014, apostrofò l’allora vice ministro dell’Economia del governo Letta. Fassina si dimise e ora, lasciato il Pd, lancia la sfida al premier: «Siamo alternativi al liberismo da Happy Days di Renzi... ». Annuncia che il Nobel Joseph Stglitz sarà il consulente economico e cita soprattutto Keynes.
“Sinistra italiana” nasce dall’unione in Parlamento dei vendoliani di Sel e dei fuoriusciti del Pd. A gennaio metterà radici in una manifestazione di piazza. Intanto tra mille “distinguo” e un bel po’ di assenti - non ci sono Pippo Civati, Maurizio Landini e neppure si vedono i sindaci di Milano e di Cagliari Giuliano Pisapia e Massimo Zedda - parte all’attacco del Pd. Il teatro è stracolmo e una folla preme alle porte, costringendo i leader a bissare i comizi: prima dentro, poi fuori per strada. Ma è un’offensiva che non ha solo Renzi nel mirino ma anche Pierluigi Bersani, l’ex segretario. Viene proprio dai fuoriusciti dem, da chi aveva creduto nel progetto della “ditta”, nel Pd bersaniano. «Pierluigi si illude, le cose che lui dice sono ormai impossibili nel Pd, dove non si può restare», è l’appello di Alfredo D’Attorre, il “delfino” di Bersani passato con la Sinistra. E Fassina: «Sbaglia Bersani ad accusarci di fare il gioco della destra». Il PdR, il partito di Renzi, è un avversario, al punto che la tentazione della Sinistra è di correre con propri candidati nelle amministrative di primavera. Senza intese con il Pd.
Renzi contrattacca avvertendo del rischio, di fare cioè un favore alla destra. E fa circolare, rilanciandolo su Twitter, il discorso tenuto nell’assemblea dei gruppi parlamentari martedì scorso: «L’operazione che stanno tentando alcuni nostri ex compagni di viaggio è intrisa di ideologismo, non vincerà mai, è un delirio onirico». Si alzano i toni. «Bloccheremo Renzi », ribatte la Sinistra. Nichi Vendola non è presente per problemi di salute della madre. Twitta: «Dice Renzi che “Sinistra italiana” fa vincere la destra? Impossibile, ci pensa già lui...”. Sergio Cofferati manda un messaggio. Anche la presidente della Camera, Laura Boldrini: «La sinistra - scrive - ha un campo d’azione oggi più ampio che in passato». Nicola Fratoianni e Arturo Scotto dal palco incitano ad andare controvento. «Vogliono chiamarci “Cosa rossa”? Sì se il Pd lo si chiama la “Cosa bianca” e la destra di Berlusconi e Salvini la “Cosa nera” ». Una standig ovation va a Dario Vassallo, il fratello del sindaco di Pollica, Angelo, ucciso e ancora senza giustizia. Vassallo ringrazia l’ex sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza in platea: «La legalità può portarti in un teatro ma può farti morire al Sud. Il 5 settembre, giorno in cui Angelo è stato assassinato, fanno in Cilento la sagra del pesce...».
A fine kermesse, la “Sinistra italiana” è soddisfatta della partecipazione, del nome «azzeccato », del logo arancione, del suo pantheon con Ingrao e Berlinguer. I bersaniani sono irritati. Gianni Cuperlo, leader di sinistra dem, invita: a «incontrarci se vogliamo vincere». Il Pd teme il vantaggio che ne avrà la destra. A Torino ad esempio, la Sinistra andrà da sola con Airaudo. A Roma non ci saranno nostalgie per Ignazio Marino. «La sua è una fase chiusa», scandisce Fassina. Civati non condivide: «Con Marino bisogna parlare ». E la Sinistra - twitta Orfini- deve essere divertente come Happy days.
«No al liberismo da Happy Days» Sinistra italiana parte con Bella ciao. I gruppi Teatro pieno e in tanti restano fuori. Nei nuovi gruppi 31 deputati e una decina di senatori. Gli intellettuali I messaggi di Boldrini e Cofferati. E arriva anche un appello degli intellettuali d’area.
Fassina all’attacco, in platea molti volti del passato. E c’è pure La Malfa
di M.Gu. Corriere 8.11.15
ROMA L’applauso più energico lo strappa Stefano Fassina, quando evoca dal palco Fonzie, il protagonista in giubbotto nero di una celebre serie tv americana: «Sinistra Italiana ha una proposta di governo alternativa al liberismo da Happy Days del segretario del Pd...». Le foto del comizio bis, improvvisato in strada perché il Teatro Quirino era pieno, dicono che il debutto è andato meglio delle aspettative di Alfredo D’Attorre, Arturo Scotto, Nicola Fratoianni e dello stesso ex viceministro Fassina: i quattro parlamentari che più hanno lavorato, di concerto con Nichi Vendola, per unire i fuoriusciti del Pd alle truppe di Sel.
Mille persone dentro e 500 fuori, porte chiuse per motivi di sicurezza e qualche momento di tensione. I simpatizzanti che, in strada, intonano Bella ciao e protestano contro i «vigili renziani». D’Attorre assicura di aver individuato in sala «militanti, segretari di circolo e consiglieri municipali del Pd», eppure parlamentari «dem» non ce ne sono, nemmeno come osservatori. «Arriveranno — fa scongiuri D’Attorre — una decina almeno tra deputati e senatori si sta interrogando, presto ci saranno altre adesioni». E intanto spuntano ex dei Cinquestelle, esponenti dell’Altra Europa con Tspiras e i soliti noti della sinistra radicale: Fabio Mussi, Cesare Salvi, Massimo Villone, Luca Casarini, Giuliana Sgrena, Valentino Parlato, Vincenzo Vita... Corradino Mineo voleva parlare, ma gli organizzatori lo hanno implorato di saltare un giro.
Giorgio La Malfa fu ministro con Berlusconi, eppure Fassina gli apre le braccia: «È un interlocutore culturale». Maurizio Landini non è venuto e, per ora, resterà nel sindacato. Bersani ovviamente non c’è e le cronache lo raccontano come il «convitato di pietra». D’Attorre non dispera: «Pier Luigi? Comprendo il suo tormento e il suo dolore, ma non escludo che arrivi anche lui».
Nel simbolo il rosso non c’è e qualcuno ci resta male. E quando Claudio Fava propone di sostituire il nostalgico «compagni» con il più moderno «amici», per poco non partono i fischi. La sigla è SI e serve a spazzar via l’immagine dei gufi, i volatili notturni che, nella retorica di Renzi, sanno dire solo no. Il nemico adesso è lui, è il leader del Pd ad aver preso il posto dell’ex Cavaliere nell’immaginario della risorta opposizione di sinistra-sinistra. Tanto che Fassina rimprovera a Renzi di attuare il programma di Berlusconi.
Agli ex compagni di viaggio il premier ha detto che una sinistra intrisa di ideologismo e velleitarismo è «un delirio onirico». E loro hanno riempito questo storico teatro del centro di Roma per dimostrare che Renzi sbaglia, che a sinistra del Pd «ci sono praterie», per dirla con il professor Carlo Galli. E che i nuovi gruppi parlamentari — 31 deputati, una decina di senatori e la consulenza economica del premio Nobel Joseph Stiglitz — non nascono per far testimonianza. «Puntiamo a diventare alternativa di governo», sogna in grande l’onorevole Monica Gregori.
La «cosa arancione» non è ancora nata e già i suoi fondatori litigano con i compagni rimasti nel Pd. Bersani ha scelto di non abbandonare ancora il tetto del Nazareno, convinto che il nuovo centrosinistra si possa fare solo con i «dem» e Fassina non ha gradito la presa di distanza dell’ex segretario: «Dispiace per le parole di Bersani. Il gioco della destra lo fa chi fa la destra, con il Jobs act, la Buona scuola, l’Italicum, la riforma del Senato e della Rai». Subito Miguel Gotor innesca la polemica: «Fassina sbaglia, attaccare Bersani e la sinistra del Pd può essere la via breve per conquistare qualche titolo di giornale, ma sul piano politico è destinata al fallimento».
Un leader ancora non c’è e i quattro che guidano il convoglio non sembrano avere troppa fretta, visto che il partito è in embrione. D’Attorre invita a fare gioco di squadra: «Basta coi fenomeni al comando». Vendola farà un passo di lato per lasciare campo libero alle «giovani» leve. Il fondatore di Sel è rimasto a casa per problemi familiari e ha inviato una lettera. Messaggi di incoraggiamento sono arrivati anche da Laura Boldrini e Sergio Cofferati. E spunta, immancabile, l’appello degli intellettuali, da Riccardo Achilli a Nadia Urbinati.
“Sinistra Italiana alternativa all’Happy Days di Renzi”
Gli ex Pd e Sel ora sperano in Bersani
Intonando “Bella ciao” fuoriusciti Pd ed esponenti di Sel si uniscono D’Attorre: “Aspettiamo Bersani, Matteo potrebbe spingerlo da noi”
di Francesca Schianchi La Stampa 8.11.15
«Andiamo a parlare fuori, facciamo una cosa innovativa…». Alle undici e un quarto del mattino, dietro alle porte chiuse di un Teatro Quirino pieno, c’è una piccola folla che intona «Bella ciao» e chiede di entrare. Gli oltre 850 posti disponibili sono occupati, e allora la soluzione la trovano Stefano Fassina, Alfredo D’Attorre e Nicola Fratoianni: escono loro, trascinano con sé un piccolo corteo, improvvisano un comizio per strada, sotto il sole tiepido e la curiosità dei turisti.
Il battesimo di Sinistra italiana avviene così, per metà tra velluti e palchi del Teatro, per metà per strada, tra delusi del Pd («facevamo parte del circolo dei Giubbonari, qui a Roma: con l’arrivo di Renzi abbiamo lasciato», spiegano in tre) e militanti di sinistra. Protagonisti, Sel e fuoriusciti del Pd, ma in platea ci sono anche intellettuali come il filosofo Michele Prospero e l’archeologo Salvatore Settis, i giornalisti Giuliana Sgrena e Valentino Parlato, vari dirigenti sindacali della Cgil, c’è pure un ex ministro di Berlusconi, il repubblicano Giorgio La Malfa. Per ora si tratta dei gruppi parlamentari (31 deputati; al Senato nascerà più avanti, e saranno dieci), che avranno come consulente economico il premio Nobel Joseph Stieglitz; a gennaio deve partire la fase costituente per creare un vero partito. Da Vendola (ieri assente per ragioni familiari) a Claudio Fava a Corradino Mineo: nella giornata di ieri mancava solo Pippo Civati. E non c’era Maurizio Landini, che pure era stato invitato.
Una sinistra che vuole essere di governo, che rifiuta l’etichetta di Cosa Rossa («a meno che non si cominci a chiamare il Pd Cosa Bianca, il M5S Cosa Grigia e il sodalizio tra Berlusconi e Salvini Cosa Nera», dice il capogruppo Arturo Scotto), orgogliosa di una «cultura keynesiana», che, spiega Fassina, è «alternativa al liberismo alla Happy Days del presidente del Consiglio» (risponde via Twitter il presidente del Pd, Matteo Orfini: «Comunque Happy Days era bellissimo. E divertente. Come deve essere la sinistra»). Una scommessa che, sanno bene, non sarà facile vincere, perché «abbiamo alle spalle tanti fallimenti» (ammissione di Fassina), e conoscono bene il rischio di diventare una forza di pura testimonianza, o di doversi dibattere tra liti e scissioni. Tanto più che un leader ancora non c’è, anche se Fassina e D’Attorre sono i più applauditi.
«Sta nascendo qualcosa di nuovo, inizia un cammino, la costruzione della Sinistra», dichiara speranzoso D’Attorre. Convinto che altri arriveranno dalla minoranza del Pd in sofferenza, «secondo me almeno una decina». Non l’ex segretario Bersani, probabilmente. «Ma non lo escludo. Per ora mi sembra convinto di non lasciare il Pd: ma Renzi potrebbe riuscire anche in quest’impresa…».
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