martedì 3 novembre 2015
Un'importante raccolta di saggi di Carl Schmitt
Carl Schmitt: Stato, Grande Spazio, Nomos, a cura di Günter Maschke. Edizione italiana a cura di Giovanni Gurisatti, Adelphi, pp. 528, euro 60
Risvolto
Molto tempo prima che venisse coniato il semplicistico termine di «globalizzazione», Carl Schmitt aveva visto, con lucidità profetica, come «l'universalismo dell'egemonia anglo-americana» fosse destinato a cancellare ogni distinzione e pluralità spaziale in un «mondo unitario» totalmente amministrato dalla tecnica e dalle strategie economiche transnazionali, e soggetto a una sorta di «polizia internazionale». Un mondo spazialmente neutro, senza partizioni e senza contrasti – dunque senza politica. Per Schmitt non il migliore, ma il peggiore dei mondi possibili, sradicato dai suoi fondamenti tellurici. Fedele alla justissima tellus, Schmitt persegue invece l'idea che non possa esservi Ordnung (ordinamento) mondiale senza Ortung (localizzazione), cioè senza un'adeguata, differenziata suddivisione dello spazio terrestre. Una suddivisione che superi però l'angustia territoriale dei vecchi Stati nazionali chiusi, per approdare al «principio dei grandi spazi»: l'unico in grado di creare un nuovo jus gentium, al cui centro ideale dovrebbe tornare a porsi l'antica terra d'Europa, autentico katechon di fronte all'Anticristo dell'uniformazione planetaria nel segno di un unico «signore del mondo». Certo è che la prospettiva di Schmitt, già delineata ottant'anni fa, appare oggi più attuale che mai, e il suo pensiero si conferma come essenziale per la lettura della nostra epoca. Lo testimonia eloquentemente questa ampia raccolta di saggi, che, scritti nell'arco di un cinquantennio – da Il concetto del politico (1927) a La rivoluzione legale mondiale (1978) –, compongono una vera e propria summa della sua speculazione sulla politica e il diritto internazionale.
Esce da Adelphi una raccolta di saggi del grande filosofo, che prevede una guerra globale In cui i «padroni del mondo», per eliminare i possibili avversari, li fanno passare per criminali
3 nov 2015 Libero SIMONE PALIAGA
La discriminazione degli altri governi sta nelle mani del governo degli Stati Uniti che si arroga anche il diritto di istigare i popoli contro i propri stessi governi, trasformando la guerra tra Stati in guerra civile. La guerra mondiale discriminatoria di stile americano si tramuta così in guerra civile mondiale». Sembra la descrizione di quanto sta accadendo o è accaduto in Ucraina, Medio Oriente e Nord Africa negli ultimi tempi mentre l’analisi compare in uno studio sulla trasformazione del diritto internazionale risalente al 1943. A scriverlo è il maggiore filosofo della politica del Novecento, Carl Schmitt ,di cui Adelphi pubblica ora una silloge che raccoglie i suoi maggiori contributi alla filosofia del diritto internazionale, comprendente il fondamentale L’ordinamento dei grandi spazi: si tratta di Stato, Grande Spazio, Nomos (pp. 528, euro 60).
Il libro rappresenta in Italia un vero e proprio evento editoriale che porta allo scoperto una delle produzioni più interessanti e sicuramente meno studiate del giurista renano. Dopo Il nomos della terra, pubblicato sempre da Adelphi a cura di Emanuele Castrucci, e la raccolta L’unità del mondo e altri saggi allestita anni fa da Alessandro Campi per l’editore Pellicani, oramai la gran parte della produzione internazionalistica di Schmitt, che come dice il curatore Giovanni Gurisatti nell’introduzione «assume non di rado i tratti della chiaroveggenza», è disponibile al lettore italiano. E con questa occorre fare i conti se si vuole comprendere il caos che in questi ultimi anni sta ghermendo lo scenario mondiale.
Al centro della riflessione, che dal 1941 prosegue fino al 1978, sta il tentativo di pensare la riorganizzazione politica del mondo per evitare che esso si trovi coinvolto in una latente ma devastante guerra civile. E per farlo occorre pensare al mondo come a una realtà suddivisa in Grandi Spazi, culturalmente e economicamente omogenei, e non alla stregua di una reticolare unione commerciale come è avvenuto con l’istituzione del Wto e della Banca Mondiale. Anche se oggi i BRICS e la neonata banca asiatica già di loro schiudono lo spazio per eventuali Grandi Spazi.
«L’idea di grande spazio», scrive nella postfazione Günter Maschke, il migliore studioso di Schmitt al mondo, «deve sbarrare il passo a un universalismo universalistico che distrugge il rapporto tra ordinamento e localizzazione, mentre il nomos deve far fallire il progetto di unità del mondo», perché sia l’universalismo sia il mondo unificato dalla globalizzazione presuppongono l’esistenza di un solo signore e la promozione di una costante situazione di instabilità.
Detto in altre parole instaurano un sistema facilmente trasformabile in una realtà imperialista. In un mondo unificato, difatti, prevale «la realtà imperialistica di una economica pretesa di commercio mondiale», analizza Schmitt, «a cui corrisponde un universale, illimitato interventismo. Gli interessi del capitalismo mondiale spingono necessariamente verso una politica onnipresente, ubiquitaria, di ingerenza e di non riconoscimento, che si arroga il diritto di concedere o di negare il placet di Washington a ogni mutamento di situazione. Così la tradizionale separazione tra politica e affari è diventata intrinsecamente falsa poiché alla lunga non vi possono essere affari a livello mondiale senza una politica a livello mondiale». Vi pare che queste righe fatichino a descrivere il caos di questi ultimi anni?
Il signore di questo mondo e i suoi fedeli alleati hanno «la pretesa di eliminare l’avversario politico», ammonisce ancora Schmitt, «bollandolo come criminale che agisce contro il mondo intero, e come il più grande ostacolo alla pace mondiale». Non è forse stato così con Saddam Hussein, con Gheddafi e oggi con Assad in Siria? Allora «la guerra si trasforma in un’azione punitiva e vendicativa che discrimina l’avversario come criminale». «Il governo di Washington», continua Schmitt, «vuole squalificare il nemico e diffamarlo avanzando la pretesa di condurre l’umanità verso un genere di guerra giuridicamente nuovo: una guerra globale di dimensioni planetarie». Questo accade perché «il governo degli Stati Uniti si erge a giudice del mondo intero, arrogandosi il diritto di immischiarsi in tutte le faccende di tutti i popoli e di tutti gli spazi». E l’esito di questa trasformazione del diritto è una sorta di «paninterventismo», che non agisce solo militarmente perché «non mira tanto all’annessione quanto al controllo».
Chi promuove l’unità del mondo, come recita il titolo di uno dei saggi compresi nella raccolta, dimentica che «la terra è ancora grande per contenere una pluralità di grandi spazi, nei quali uomini amanti della libertà sappiano difendere la loro sostanza e le loro peculiarità storiche, economiche e spirituali». Per riproporre uno scenario simile, «all’unità globale di un imperialismo planetario occorre contrapporre una pluralità di grandi spazi concreti e ricchi di senso. La loro è una lotta intorno alla questione se in futuro vi debba essere una coesistenza tra differenti forme autonome oppure solo semplici filiali decentralizzate di tipo regionale e locale, instaurate su concessione di un unico signore del mondo». Da qui e dalle riflessioni del grande giurista europeo passano le sfide a cui dovranno rispondere le classi dirigenti se, al di là delle parole d’uso, sono davvero amanti della libertà e della pace ricordando a loro un motto di Pierre Joseph Proudhon, amato da Carl Schmitt, che «chi dice umanità lo fa per ingannarti».
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1 commento:
Ciao.
hai la possibilità di mandarmi l'indice e dirmi se i testi sono già stati editi?
Io ho già le antologie ricordate...
Grazie
Giuliano
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