venerdì 26 febbraio 2016

Ateismo neuroscientista

Contro  il sacroEdoardo Boncinelli: Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi, Rizzoli, pp. 233, 18

Risvolto
“Si dice spesso che la nostra società tende sempre più a secolarizzarsi, ma anche in una società fortemente secolarizzata il senso del sacro non è andato perduto totalmente, e talvolta quasi per niente, anche se non tutti ci fanno caso.” Sembra un’ironica provocazione quella che Edoardo Boncinelli avanza in queste pagine, ma a pensarci bene, proprio mentre in tanti lamentano l’immancabile “crisi dei valori”, ci ritroviamo in una realtà che appare come il terreno di coltura ideale per fondamentalismi di ogni genere. E questo perché il senso del sacro è l’ostacolo più grande sul cammino del pensiero razionale, poiché ci abitua fin dalla più tenera età a non mettere in discussione pratiche e concetti che ci accompagnano dalla notte dei tempi. Ma perché il sacro è così radicato in noi? Boncinelli va al cuore della questione e mette a nudo i bisogni biologici e sociali che hanno favorito la nascita e la crescita di questa idea. Scavando nella regione più profonda della nostra irrazionalità, Boncinelli sottolinea la necessità fisica degli esseri umani di avere a disposizione una serie di punti fermi da cui partire e sui quali fondarsi, anche a prescindere dalla religione vera e propria. Forse non si può vivere senza qualcosa di sacro, ma sarebbe meglio ricorrerci il meno possibile per non restare ancorati a un modo di ragionare in cui tutto si dà per scontato e immutabile. Una mentalità può dirsi razionale solo se mette in gioco le nostre responsabilità individuali, ed è proprio questo l’elemento che spinge le persone a restare legate al sacro, pure nelle sue declinazioni più arcaiche e semplicistiche. Infatti, ci ricorda Boncinelli, “è anche per questo che la scienza non piace alla gente, sempre ansiosa di giudicare e di incolpare. Tanto il male lo fanno sempre gli altri e mai noi”.



IL RISCHIO DI AFFIDARSI AL SACRO 

26 feb 2016  Corriere della Sera Di Stefano Gattei
Alla fine del II secolo d.C. Sesto Empirico apriva i propri Schizzi pirroniani con la descrizione dei tre esiti possibili di un’attività di ricerca ( sképsis, in greco): scoprire ciò che si cerca, dichiararlo irraggiungibile o continuare a cercare. Gli scettici, dichiarava subito dopo, scelgono quest’ultimo approccio. Molti secoli dopo Karl Popper, a conclusione della Logica della scoperta scientifica (1934), affermava che «non è il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, che fa l’uomo di scienza, ma la ricerca, persistente e temerariamente critica, della verità». L’intera storia del pensiero occidentale, dai Presocratici ai giorni nostri, è caratterizzata dall’indagine razionale sul mondo. Ricerca scientifica e dubbio metodico sono inseparabili: la scienza è profana per definizione, si svolge cioè «fuori dal tempio» ( pro fano). Al contrario della religione, che vincola ( re-ligare) a un certo numero di credenze indubitabili. Dubbio, dunque scienza (e «scienza, dunque democrazia», come ha mostrato Gilberto Corbellini); credenza, dunque religione, cioè gestione del sacro. 
La nostra società vive quotidianamente di scienza (per sostentarci, viaggiare, comunicare e quant’altro) e ampie fasce della popolazione si entusiasmano per le conquiste della ricerca: ne è un esempio il recente clamore seguito all’annuncio della rilevazione delle onde gravitazionali, previste un secolo fa da Albert Einstein con l’esercizio della pura ragione. Eppure la nostra non è una società secolarizzata: è, anzi, una società in cui il senso del sacro — l’idea di appartenenza, di adesione a un gruppo — appare sempre più forte. E sempre di più le nostre comunità sembrano essere il terreno di coltura ideale per ogni sorta di fondamentalismi. Nel suo ultimo libro Contro il sacro. Perché le fedi ci rendono stupidi (Rizzoli, pp. 233, 18) Edoardo Boncinelli ci invita a riflettere su questa contraddizione, illustrando i bisogni biologici e sociali che hanno favorito la nascita e la crescita dell’idea del sacro. L’uomo sente la necessità di avere punti di riferimento (all’interno o all’esterno di una religione costituita): per orientarsi in ciò che non conosce, per agire e per sopravvivere. È forse per noi un’esigenza ineludibile, ma rischia di svilire la nostra stessa natura. A questi «appigli», sostiene infatti Boncinelli, sarebbe bene aggrapparsi il meno possibile: altrimenti finiamo per assuefarci a un modo di ragionare in cui non c’è più spazio per la libertà individuale. Il culto del sacro, qualunque esso sia, ci porta a escludere l’idea che alcune cose possano avvenire semplicemente per caso, senza una ragione specifica o senza una ragione semplice da individuare. La convinzione che dietro a ogni cosa ci sia un «agente» ci porta a pensare che esistano sempre dei responsabili (altri da noi) alla base degli eventi. Siamo allora portati a giudicare e a condannare, rifiutando ogni responsabilità. Nel «sonno della ragione» la razionalità si mette al servizio dell’emotività e dell’irrazionalità, e il ricorso all’intoccabilità del sacro favorisce l’ignoranza e conduce all’isolamento. 
Nuovi misticismi e rinvigoriti fondamentalismi, conclude Boncinelli, sono un indice puntato contro la nostra innata propensione a fuggire le nostre responsabilità. Sapere aude!, esortava Immanuel Kant: «Abbi il coraggio di sapere!». Per osare sapere, però, occorre sapere osare. Ci vuole coraggio, perché sapere comporta una disponibilità e una capacità di affrontare rischi ai quali per secoli ci è stato comodo sfuggire. Comporta una responsabilità che, per quanto gravosa, dà sapore al nostro essere umani. Edoardo Boncinelli (Fotogramma)

Nessun commento: