mercoledì 24 febbraio 2016

La meritocrazia con il culo di papà, ovvero Il populismo neoliberale come alternativa dei ricchi alla democrazia moderna


Giuseppe Tognon: La democrazia del merito, Salerno editrice

Risvolto
Non è scritto da nessuna parte che una minoranza, anche se composta dai migliori, possa attribuire a sé ciò che la democrazia reclama per tutti: le libertà, la dignità, l’istruzione, il lavoro, l’accesso alle cariche. In troppi casi la meritocrazia dei ricchi preferisce non vedere che cosa potrebbe essere il merito dei molti.







Democrazia o meritocrazia questo è il problema 

Basarsi sulle capacità individuali come criterio di selezione è compatibile con gli ideali di uguaglianza e piena partecipazione alla vita politica? Un saggio di Giuseppe Tognon 
Luigi La Spina Busiarda 25 2 2016
Nelle società occidentali, e l’Italia non fa eccezione, si parla sempre di più di «democrazia malata». Il contrasto tra la realtà e gli ideali di uguaglianza dei cittadini e di partecipazione alla vita politica - i cardini, con la libertà, di quel regime che, secondo la famosa definizione attribuita a Churchill, è il peggiore «tranne tutti gli altri» - sembra acuirsi in modo insopportabile. Da una parte, crescono le disuguaglianza economiche e si riduce la mobilità sociale, dall’altra, la forza delle minoranze corporative, il dilagare della corruzione e il prevalere del potere finanziario ed economico, anche internazionale, sulle scelte della politica aumentano la sfiducia e coltivano la tentazione del populismo.
La medicina migliore
Ecco perché, da un po’ di tempo, si levano più insistenti le voci di chi ritiene il ricorso al merito come la medicina migliore per curare gli acciacchi di una democrazia che, se non è avviata verso una irreversibile decadenza, è certamente alla ricerca di una energica ricetta ricostituente. Uno strumento che postula una condizione di uguaglianza delle opportunità non facile da raggiungere, ma che appare il metodo più efficace sia per rompere quella cappa di fatalismo di chi crede che, nelle nostre società, prevalgano sempre la famiglia, le relazioni sociali o la fortuna, sia per evitare un futuro di declino economico e culturale dell’Occidente.
Se è vero che la meritocrazia afferma il valore dell’intelligenza e dell’impegno individuale come criterio di selezione umana, è però indubbio che, dal punto di vista concettuale, ma anche da quello pratico, questo concetto può collidere con quello di democrazia, perché può intaccare il suo principio fondamentale, quello della sovranità popolare e dell’uguaglianza di tutti i cittadini. Proprio per analizzare vantaggi e difficoltà di una concezione meritocratica della democrazia, è uscito un interessante libro di Giuseppe Tognon, pubblicato da Salerno editrice, intitolato appunto La democrazia del merito.
Rischi di oligarchia
L’autore ammette, con rigore intellettuale, i rischi di una ingenua e semplicistica apertura della democrazia allo strumento della meritocrazia come rimedio dei suoi mali. I problemi della sua applicazione nel nostro regime politico sono numerosi e complessi, a partire dalla domanda più importante: chi giudica il merito e secondo quali criteri? Certamente non è accettabile un’interpretazione esclusivamente utilitaristica ed economicistica del merito. Una società democratica deve tenere conto dei bisogni e degli interessi soprattutto dei più deboli e di coloro che sono più svantaggiati, per vari motivi, nella competizione sociale. Una scarsa attenzione agli effetti di quella che l’autore chiama «la meritocrazia moderna» rischia di condurre «le democrazie contemporanee verso forme sempre più spinte di oligarchia o verso manifestazioni giacobine e rivoluzionarie effimere». Inoltre, il «capitale umano», come si usa oggi definirlo con una locuzione un po’ discutibile, non si può valutare solo in termini di capacità economica, ma va considerato in una accezione più ampia, quella che considera anche qualità morali e virtù civili.
Ragionevole utopia
Si può concepire, allora, una meritocrazia compatibile non solo con i principi della democrazia, ma con le garanzie del rispetto, non solo formale, dei diritti di tutti i cittadini? È possibile ed è giusto sperare che sia, in fondo, il miglior criterio per distinguere gli uomini, per selezionare una classe dirigente all’altezza dei gravi problemi che ci opprimono, per far sì che il potere, il denaro e il prestigio siano attribuiti per le doti d’intelletto e di impegno delle persone e non secondo altri, meno commendevoli metodi?
A queste domande, Tognon risponde con la proposta di una «democrazia del merito», una strada certamente impegnativa, intrisa di quella che si potrebbe chiamare una ragionevole utopia, quella virtù che non rinuncia agli ideali, ma prova a misurarli con la realtà. Una meritocrazia, «che resista alla pretesa di trasformare l’utile economico e il prestigio sociale in nuovi e più potenti strumenti di discriminazione» e che «sposi il principio che avere talento significhi risolvere i problemi insieme». 
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La fabbrica dell’eccellenza SCAFFALE. La democrazia del merito, l'ultimo libro di Giuseppe Tognon per Salerno Editrice Francesco Postorino Manifesto 3.6.2016, 0:01
Beatificata dalla stragrande maggioranza e respinta dai nostalgici egalitari, la meritocrazia subisce un rimprovero pedagogico nell’ultima fatica di Giuseppe Tognon, La democrazia del merito (Salerno Editrice, pp. 112, euro 8,90). Qui si prendono le distanze dal mercato e dalla retorica delle «pari opportunità» in nome di una nuova antropologia del merito fondata sull’ideale democratico. L’obiettivo è denunciare quella «tentazione meritocratica» che cancella le fragilità e perde di vista i segni specifici di ogni essere umano. Non tutto può diventare merce. La ricerca di senso sfugge alle «curve sul profitto» e secondo l’autore riattiva quei luoghi della condivisione illuminati dal dono e dal ruolo trascendentale dell’incontro.
Il merito, nel suo autentico significato, rinnega l’utilitarismo spregiudicato e difende i talenti dell’umanità. La meritocrazia liberale si occupa al contrario di alcuni talenti e introduce una gara senza sosta dove invidiosi protagonisti rinforzano il carattere poco nobile dell’apartheid. Si tratta di uno schiaffo agli ultimi, ai «falliti», a chi consegue nella vita di tutti i giorni il «premio» della sobrietà.
Rinunziare a questa ideologia, continua il pedagogista, significherebbe non soltanto annullare la triste equazione merito/successo, ma più in generale ricostruire le fondamenta dell’umanità a scapito del vuoto, di un estrinseco sempre più legato ai processi di mercificazione. Le «fabbriche di eccellenza» ospitano rigidi criteri di valutazione che si rivolgono ad un automa assuefatto alle mode consumistiche. Egli non sa più quel che vuole e rincorre l’eccesso. Vive l’istante come unico orizzonte temporale e si dimentica della speranza, del futuro, dei fini di lungo periodo. Il cittadino sui iuris si traduce in imprenditore o in cliente, uomo-massa o manager. Ironizza sull’emotività, sui gesti creativi dell’arte e adopera ad oltranza il linguaggio operativo dell’informatica. L’università di Harvard e le scuole economiche trionfano sul sapere umanistico e feriscono le molteplici attese rifiutate da un sistema non immune dal pericolo totalitario.
In questo libro si ammonisce quel riformismo di sinistra, rilanciato dalla Third Way di Tony Blair, che non si discosta dal terreno delle discriminazioni e garantisce il primato dell’efficienza attraverso regole quasi identiche al modello reazionario delle destre. Al mito della libertà meritocratica, lo studioso contrappone giustamente il mito della libertà democratica incarnato nella figura di don Milani: Lettera a una professoressa è il simbolo di una verità sofferta. La «sufficienza» al disagio, voluta dal sacerdote fiorentino e offesa dai fanatici della competizione, non preannuncia un gretto livellamento, ma la riscoperta di un’alternativa, di un sentimento profondo che suggerisce la vittoria di chi adesso non può, di chi balbetta la sua vocazione e rivendica a pieno titolo uno spazio. Il merito deve attingere al registro democratico e riflettere con un nuovo approccio relazionale le sfumature di chiunque. La scuola della vita espelle così i toni arroganti dell’arrivismo e promuove le vie infinite che alimentano la giustizia.

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