lunedì 22 febbraio 2016
Nial Ferguson contro Brexit
Lo storico spiega come ogni tentativo di tagliare i vincoli con il Continente abbia dato origine a fallimenti disastrosi Londra può scegliere che forma dare al suo vincolo con il resto dell’Unione: ma di certo non può separarsi e basta. Si aprirebbe un futuro di instabilità
di Niall Ferguson Repubblica 22.2.16
L’AUTORE Originario della Scozia, Niall Ferguson è uno dei più importanti storici britannici: insegna all’Università di Harvard
UN
tempo in Europa si negoziava in pompa magna. L’accampamento vicino a
Calais in cui avvenne l’incontro tra Enrico VIII e il re di Francia
Francesco I prese il nome di Campo del drappo d’oro, per i fasti dei
banchetti, delle danze e degli abiti sfoggiati. All’epoca i leader
europei se la prendevano comoda.
QUEL vertice del 1520 durò quasi
due settimane e mezzo. Non si concluse nessun accordo importante, ma
tutti tornarono a casa contenti.
Mettiamo a confronto quello
sfarzo con le pene patite da David Cameron e dagli altri leader europei
la scorsa settimana per stabilire i termini del nuovo status ‘speciale’
della Gran Bretagna in seno all’Ue.
Ho avuto difficoltà a spiegare
ai miei colleghi americani che il futuro del mio paese era appeso al
numero di anni di attività lavorativa nel Regno Unito che un idraulico
polacco deve vantare per poter aspirare alle prestazioni di sicurezza
sociale. La cosa li lascia perplessi, soprattutto quando specifico che
la questione riguarda gli immigrati regolari.
Ma il vero problema
non è questo, bensì capire se la Storia ci ha insegnato qualcosa da
cinque secoli a questa parte. Mezzo millennio fa Enrico VIII poteva
ancora avanzare pretese sulla corona di Francia. Ma il cardinal Wolsey
era più lungimirante e capì che i monarchi della cristianità dovevano
unire le forze contro gli Ottomani. Fu questo uno dei motivi per cui
Wolsey fece incontrare Enrico e Francesco. Il ragionamento del cardinale
era giusto. Mentre l’Europa si spaccava sulla Riforma, gli eserciti del
sultano assediarono Vienna due volte nell’arco di due secoli, nel 1529 e
nel 1683. In seguito ad Est si profilò una seconda più grave minaccia,
nella forma della Russia zarista.
Dopo la pace di Westfalia del
1648, l’Europa entrò nell’era che associamo all’equilibrio di potere,
ossia il dominio di cinque grandi potenze: Austria, Gran Bretagna,
Francia, Prussia e Russia. La realtà geopolitica era caratterizzata
dalla sempre più intensa competizione oltreoceano tra olandesi,
britannici e francesi per le spoglie dell’impero e dall’infinita
“questione orientale” che a lungo contrappose la Russia alla Turchia .
Per un periodo il successo della Gran Bretagna come potenza imperiale
fece sorgere l’illusione di un possibile distacco dal continente. Ma lo
«splendido isolamento» era una formula ironica. Prima Napoleone, poi il
Kaiser e infine Hitler ci insegnarono, o avrebbero dovuto insegnarci,
l’esatto contrario. Il vincolo con il continente non venne mai meno.
Oggi
possiamo solo scegliere che forma dare a questo vincolo. Possiamo
dichiarare chiuso per nebbia il canale della Manica votando a favore
della Brexit, ma è un’illusione pensare di poterci separare così
dall’Europa. Perché senza di noi l’Europa avrà un futuro di crescente
instabilità.
La Germania è in crisi, indebolita dalle conseguenze della decisione della Merkel di aprire i confini tedeschi l’estate scorsa.
Cameron,
che inizialmente pensava di trattare con Berlino, si è trovato a dover
mercanteggiare in 27 capitali diverse, da Parigi a Praga. Perché ha
avuto successo? Perché gli altri paesi europei si sono resi conto che la
nostra uscita dall’Ue avrebbe avuto conseguenze disastrose.
Non
serve farsi illusioni su Bruxelles per credere che la Gran Bretagna deve
restare nell’Ue. Ma bisogna illudersi per credere che si possa uscire
dall’Europa resuscitando l’ideale ottocentesco di sovranità
parlamentare.
Ho degli amici carissimi che sono stati vittima di
questa chimera e mi rendo conto che nel dibattito odierno le posizioni
si sono rovesciate. Negli anni Novanta a nutrire utopie erano i
filo-europei, sinceramente convinti che l’Europa senza confini, a moneta
unica, si sarebbe trasformata per magia negli Stati Uniti d’Europa,
superando il malvagio nazionalismo del passato. Gli scettici all’epoca
eravamo noi che dicevamo che l’unione monetaria senza un’unione fiscale
portava al disastro. E avevamo ragione.
Oggi invece sono i fautori
della Brexit a illudersi. Non sono affatto euroscettici bensì
anglomaniaci. I veri scettici oggi dicono che uscire dall’Ue equivale
non solo a rinunciare completamente ad avere voce in capitolo sui
termini di quello che sarà il rapporto futuro con i nostri maggiori
partner commerciali, mettendo a rischio il ruolo di Londra come centro
finanziario, ma anche, cosa molto più importante, a minare la sicurezza
dell’Europa.
A noi angloscettici la Storia ha insegnato che l’isolazionismo britannico è la miccia per disintegrare il continente.
Se
si vota per uscire dall’Ue quest’anno, è sicuro che prima o poi si
voterà per rientrare, per rimediare ai danni, ma a un costo spaventoso,
come fu nel 1808, 1914 e 1939.
La Brexit di Enrico VIII furono la
rinuncia al cattolicesimo di Santa romana Chiesa e il divorzio da
Caterina d’Aragona. Un vero scettico all’epoca lo avrebbe consigliato di
optare per coalizzarsi contro il pericolo turco.
(Copyright The Sunday Times Traduzione Emilia Benghi)
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