lunedì 1 febbraio 2016

Ri-nascita di una nazione: il film su Nat Turner



La citazione da Griffith è fenomenale [SGA].

Trionfa «The Birth of a Nation» mentre fanno discutere gli Oscar «bianchi» 
1 feb 2016  Corriere della Sera 
PARK CITY L’attore afroamericano Nate Parker, un passato di campione di wrestling e di programmatore di computer, prende le distanze da qualsiasi diatriba sugli Oscar «troppo bianchi» stringendo le due targhe di vetro come vincitore al Sundance Film Festival del premio della giuria e di quello del pubblico per The Birth of a Nation del quale è protagonista, co-produttore, regista e sceneggiatore. 
Dice: «Ho lavorato per sette anni al progetto di questo film su Nat Turner, lo schiavo e predicatore nato in Virginia, che nel 1831 fu il leader di una rivolta. Da allora, da sempre gli afroamericani cercano una identità completa come americani che, con orgoglio, sono anche afro. Ritengo discriminatori i concetti di minoranza afro e di maggioranza bianca. Il film spinge a capire a fondo la storia e il problema profondo dell’integrazione di molte etnie negli Usa. Mi auguro che nessuno affermi: “Ecco, pensando al box office, un’altra storia di schiavitù dopo 12 anni schiavo e Django Unchained” ». 
Accolto a ogni proiezione da una standing ovation, il film ha iniziato una strada che si preannuncia lunga perché acquistato a peso d’oro dalla Fox Searchlight (oltre 17 milioni di dollari) per una distribuzione mondiale, concorrerà nel 2017 a ogni premio possibile. 
«Non penso a quello che potrebbe accadere tra tredici mesi — ride Nate — e sono felice di essere a Park City dove il mio film è stato aiutato dal Sundance Institute. Ci sono nel copione temi complessi che toccano e affrontano la religione, da quella tribale a quella cristiana; la condizione quotidiana di tanti uomini, donne e bambini nel Sud dell’America, la ribellione che porta alla trasformazione degli animi e a conflitti sanguinari».
Artista eclettico, lasciatosi alle spalle il ragazzo ribelle che aveva trovato nello sport e nella recitazione la possibilità di scaricare la sua rabbia e le sue difficoltà temperamentali dovute anche a una adolescenza non facile con una madre che lo aveva messo al mondo a 17 anni e mai aveva sposato il suo padre biologico, Nate è oggi un uomo e un padre di famiglia sereno, impegnato anche in attività filantropiche. 
«Ho alle spalle — afferma — una filmografia d’attore quanto mai varia. Questo film così fortemente voluto non è mai stato per me solo una biografia, ma un soggetto carico di una energia spirituale unica, speciale, che va al di là di ogni brutalità anche del Ku Klux Klan. C’è una violenza a volte ardua da guardare in The Birth of a Nation, ma le sue radici vanno cercate nella storia, nelle immagini delle mani di donne, uomini e bambini piagate dal lavoro di raccoglitori di fiocchi di cotone, dai soprusi di chi era capace di mettere corde al loro collo come se fossero cani da passeggio». 
Spiega: «Nat impara a leggere la Bibbia, il suo proprietario bianco (Armie Hammer) commercializza le sue qualità di predicatore. Poi le violenze subite dalla sua amatissima moglie Cherry ( Aja Naomi King) lo spingono a una reazione durissima. Persino la Bibbia diventa per lui uno strumento non certo di pace, ma di battaglie intellettuali. Ho lasciato volutamente lo stesso titolo del dramma del cinema muto ed epico, diretto da D.W. Griffith nel 1915. Sono cresciuto nel Sud, ho sempre avuto un grande rispetto per la storia di Nat che avevo studiato da ragazzo al college. Non tutti i ruoli da me interpretati hanno avuto sino a oggi una integrità morale». 
«Sono orgoglioso — conclude — di essere americano e di aver raccontato come questa Nazione, costruita su tante ribellioni, deve non poco a Nat, che ha fronteggiato non solo per se stesso ogni forza oppressiva. Offro alle nuove generazioni il mio film con un atteggiamento quanto mai sano da allenatore e atleta sportivo passato dietro la cinepresa e sempre alla ricerca delle migliori qualità degli esseri umani».

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