sabato 6 febbraio 2016

Una nuova storia delle mafie nazionali e dei loro rapporti con la politica e la società incivile

Storia dell’Italia mafiosaIsaia Sales: Storia dell’Italia mafiosa, edito da Rubbettino 

Risvolto
Storia dell'Italia mafiosa rappresenta un'importante innovazione nello studio e nell'analisi dei fenomeni mafiosi in Italia. Per la prima volta viene ricostruita in maniera unitaria la storia della mafia, della 'ndrangheta e della camorra dalla nascita nel Mezzogiorno borbonico, allo sviluppo nell'Italia post unitaria, al definitivo affermarsi in età repubblicana, fino ai nostri giorni. Si è dinanzi ad un grande affresco storico che individua le ragioni di fondo di un modello criminale il cui successo dura ininterrottamente da duecento anni. Il volume rappresenta inoltre il contributo più significativo al superamento delle interpretazioni dominanti delle mafie come frutto esclusivo del Mezzogiorno, della sua arretratezza economica e sociale, di una cultura omertosa e complice. Isaia Sales dimostra come quel racconto, pressoché immutato da due secoli, continui a costituire un formidabile ostacolo alla comprensione delle mafie e a rappresentare, nella migliore delle ipotesi, un colossale abbaglio. Pagine appassionanti svelano perché le mafie, nonostante gli auspici di tanti, non siano state sconfitte dalla «modernità», anzi si siano trovate pienamente a loro agio dentro di essa, senza alcun imbarazzo. E sono ancora qui nell'Italia post moderna di oggi, nel mondo di Google e dell'Ipad. E non solo nel Mezzogiorno.


Le relazioni pericolose 
Valentino Parlato Manifesto 6.2.2016, 0:04 
Il libro di Isaia Sales, Storia dell’Italia mafiosa (Rubbettino, pp. 444, euro 19,50), è di grande interesse e dovrebbe suscitare un serio dibattito sullo stato di salute del nostro paese. Mafia e corruzione sono un male esterno che ogni tanto ci colpisce oppure la mafia è intrinseca alla nostra storia, come già fa intendere il titolo del libro e come è puntualmente confermata nelle più di 440 pagine del libro e da ben 44 pagine di rinvii ad altri studi e documenti. E non va dimenticato che Sales è stato un importante dirigente del Pci e autore di altri apprezzati libri sul nostro Mezzogiorno.
In sostanza la mafia è intrinseca alla vita sociale e politica non solo del Mezzogiorno, da dove avrebbe preso origine con i nomi di mafia, camorra e n’drangheta, ma di tutto il paese. E la sua presenza non si limita alle elezioni, specie amministrative, nelle quali ci sono anche candidati mafiosi. Adesso con la crisi dei partiti, il potere mafioso è fortemente in crescita: la mafia si intreccia con la politica e quando questa (come attualmente) è debole quasi la sostituisce. 
Quando tramonta la presenza degli interessi generali, anche tra loro opposti, si apre un grande spazio per gli interessi particolari e vale ricordare che il particulare nella storia d’Italia ha pesato e pesa ancora. Vediamo tutti nei paesi dove abitiamo, come, in tempo di elezioni, i candidati spesso più che cercare il consenso del popolo, cercano quello dei boss locali. Tutto questo si svolge sotto i nostri occhi, ma ci scandalizza sempre meno e col procedere dell’attuale stagione diventa, ai nostri occhi, sempre più normale.
Nelle fasi calde della politica e della cultura la mafia si indebolisce e, quasi a dirci che la vera lotta alla mafia non si fa tanto con la polizia, ma con la forza degli ideali, quando prevale il convincimento che possiamo migliorare la nostra vita e quella degli altri, quando ci sono speranze (quelle che mancano in questa fase storica). Insomma il punto sul quale Sales insiste (e che io assolutamente condivido) è che la mafia (che Sales fa coincidere con la storia d’Italia) non è riducibile a pura criminalità, ha radici nella situazione sociale, politica e culturale del territorio nel quale cresce e io do grande importanza al ruolo delle speranze (tutto il contrario del detto: chi di speranze vive, disperato muore) che hanno mosso grandi movimenti di crescita culturale, sociale e politica. 
Fuori di questa impostazione non si capirebbe niente della mafia, ridurla a fatto puramente delinquenziale non ci farebbe capire niente. «La storia delle mafie – scrive Sales – è in sostanza il disvelamento della funzione debole dello Stato italiano nell’impatto con un territorio che avrebbe avuto bisogno, per liberarsi delle forme violente prestatuali, di un diverso radicamento dello Stato e della rottura radicale con quelle classi dirigenti alleate della mafia. Perciò la storia della mafia mette a nudo la qualità storica dell’agire politico, a Roma e a Milano, non solo a Palermo, a Napoli o a Reggio Calabria». 
Insomma, forse esagero, ma l’insegnamento di Sales è: se vuoi capire la storia d’Italia, studia un po’ la mafia che è anche una banalità del nostro paese come ci dice la provocatoria illustrazione di copertina, un domestico gattino che sul domestico pavimento di casa giocherella con un revolver.

Mafia, l’altra faccia del potere Isaia Sales: «Le organizzazioni criminali sono una componente essenziale della storia d’Italia»
Non è dei meridionali, con tutte le loro debolezze, la responsabilità di questo flagello. Sono vittime, piuttosto. Non è la loro terra la radice del male 
25 feb 2016  Corriere della Sera di Corrado Stajano
Èun libro atroce questo di Isaia Sales, Storia dell’Italia mafiosa pubblicato dall’editore Rubbettino. Potrebbe intitolarsi anche Perché la mafia la dolorosa, appassionata e minuziosa ricerca che Sales, studioso dei poteri criminali, autore tra i più seri di libri sulla camorra e sulla mafia, ha condotto per più di tre anni. Il murale Il murale raffigurante Giovanni Falcone (1939-1992) e Paolo Borsellino (1940-1992) realizzato nella piazza Falcone Borsellino di Alcamo (in provincia di Trapani) nel maggio 2013 nell’ambito del progetto «La pittura della legalità»
Il nodo del libro — saggio storico, saggio politico, saggio di psicologia criminale — è la mafia vista come componente essenziale della storia d’Italia. Se si trattasse soltanto di un fenomeno delinquenziale, la mafia, in due secoli di sopravvivenza, sarebbe stata certamente sconfitta: uno Stato, soprattutto uno Stato moderno, possiede infatti tutti gli strumenti, non soltanto repressivi, per poterlo fare. E invece le mafie, nate sotto il dominio dei Borbone, prolificate nello Stato unitario, hanno seguitato e seguitano a esistere, anche se con poteri difformi nel tempo: la camorra nell’Ottocento, la mafia — Cosa nostra — nel Novecento, la ‘ ndrangheta nel Duemila, quando è diventata l’organizzazione criminale più potente del mondo.
A Sales — insegna Storia delle mafie all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli ed è stato anche in politica, sottosegretario al ministero del Tesoro nel primo governo Prodi — sta soprattutto a cuore raccontare e dimostrare come le mafie siano state e siano anch’esse partecipi dell’autobiografia della nazione. Sono un problema della storia e della società italiana, non un problema di «geni», di luogo, di cultura. Oggi che la questione meridionale, intrinseca a quella criminale, non è nelle agende della politica governante, le possibilità di risolvere un problema così grave sono modeste.

Il libro è una miniera. Perché le mafie sono nate nel Sud? Non è della società meridionale, con tutte le sue debolezze, scrive Sales, la responsabilità del fenomeno. Vittima, piuttosto. La classe dirigente del Nord è stata infatti da sempre alleata con la classe dirigente siciliana che aveva come principale puntello la mafia. La struttura del latifondo ha di certo favorito il fenomeno. Ancora oggi gli eredi dei latifondisti di un tempo, principi e marchesi siciliani, si dilettano a scrivere memorie in cui, con compiaciuta naturalezza, raccontano gli incontri, a pranzo e a cena, con i capimafia un tempo al loro servizio, zu’ Peppe, per esempio, Giuseppe Genco Russo, l’allora capo della mafia siciliana.

Ma non è la terra, quella terra, la radice del male. Le mafie hanno sempre necessità, se si insediano in un certo territorio, di stabilire relazioni con uomini non di poco conto delle istituzioni locali. È ciò che hanno fatto al Centro e al Nord, protagonista la cinica legge del mercato incurante dello strascico di violenza che provoca e seguita a provocare. Non trapianto, ma ibridazione.

Secondo Sales i periodi di maggior potere delle mafie sono tre: la Sinistra storica, dopo l’Unità del Paese; il secondo dopoguerra; gli anni del berlusconismo.


A proposito della mafia la storia è illuminante: dal giorno in cui gli angloamericani sbarcarono in Sicilia, il 10 luglio 1943, e nominarono sindaci i mafiosi che li avevano aiutati a preparare l’operazione — risulta ufficialmente dalla relazione dell’Antimafia Carraro, del 1976 — a Portella della Ginestra, il primo maggio 1947. Quasi settant’anni dopo restano ancora zone nere in quel pasticcio contro la sinistra e il Partito comunista in cui furono coinvolti ministri — Scelba —, generali, capi della polizia e dei servizi segreti, uomini politici. «Banditi, mafia e polizia, siamo un corpo solo», disse il bandito Gaspare Pisciotta al processo di Viterbo del 1950-1952.

Quelle zone nere non si sono dissolte, se si analizza la carneficina degli anni Ottanta-Novanta a Palermo che costò la vita a tanti uomini dello Stato che fecero il loro dovere, dal presidente della Regione Piersanti Mattarella al generale Carlo Alberto dalla Chiesa a tanti altri, fino a Falcone e a Borsellino protagonisti del pool che approderà nel maxiprocesso del 1986.
Il libro di Sales è un desolato mosaico di vita e di morte. Ci sono stati magistrati che hanno fatto quel che dovevano e tanti loro colleghi che nei decenni hanno tradito e si sono venduti con le loro sentenze per insufficienza di prove — prove ben solide come il piombo usato —, concedendo perizie psichiatriche immotivate e firmando sentenze di assoluzione a criminali di rango. La mafia non esisteva, era tabù. Il sindaco di Palermo Martellucci, negli anni Settanta, la chiamava «la malefica tabe», il giudice Falcone, arrivato a Palermo nel 1979, disse allora (a chi scrive) che i più dei magistrati del Palazzo di giustizia ne negavano l’esistenza. Il nostro è un Paese dove il capomafia Bernardo Provenzano è stato latitante per 43 anni, il capomafia Totò Riina per 25 anni, il capomafia Matteo Messina Denaro è uccel di bosco da 23 anni.
Le compromissioni, le connessioni, gli accordi, il commercio dell’illegalità, il lasciar fare sono storia antica. Il nostro è anche il Paese dove il sette volte presidente del consiglio Andreotti, rinviato a giudizio per associazione mafiosa, non è stato assolto, come viene detto: i fatti di cui era accusato, commessi fino alla primavera 1980, sono caduti in prescrizione. E dopo? Insufficienza di prove, il 530 del Codice di procedura penale. Non certo una medaglia al valore. E di un altro presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si sa delle origini oscure della sua ricchezza e si sa anche che ha avuto rapporti con uomini dell’alta mafia. Il famoso stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, è stato definito da Berlusconi «un eroe»: morì in carcere senza aprir bocca. Era un mafioso di spicco, condannato a più ergastoli, tra i protagonisti, già nel 1983, della sentenza istruttoria di Falcone su «Mafia e droga», il processo contro Rosario Spatola + 119.
Dal libro di Isaia Sales, antologia ragionata e colta dei poteri criminali di ieri e di oggi — manca un indice dei nomi —, esce un panorama cupo e ben documentato sulla mafia, sui suoi rapporti con il potere politico e finanziario, sui caratteri dell’organizzazione, sociali, istituzionali, ideologici, sulla natura degli investimenti puliti e di quelli sporchi. Lo scrittore discute anche i nodi su cui si fondano tanti equivoci come il familismo, l’omertà che non è un problema antropologico, ma nasce dalla paura, dai compromessi dello Stato infedele che non tutela i cittadini onesti. La mafia non dà ricchezza sociale, ma degrado.
Sales scrive che «relegare il tutto a storia criminale è un assurdo storico. Le mafie sono parte delle modalità con cui l’Italia è diventata nazione e si è mantenuta tale nel tempo». Forse il giudizio, espresso in questo modo, è eccessivo, anche se l’autore ha ben motivato nelle sue pagine come e perché le mafie sono state parti integranti della società italiana. (Con la prima Cassa del Mezzogiorno e dopo l’82 e il ’92, lo Stato ha agito mettendo in crisi la mafia).
Resta una domanda. Le menti raffinatissime capaci di costruire una simile e complicata rete di rapporti e di conoscenze politiche ed economiche sono quelle di Riina e di Provenzano, con la loro incultura e la loro rozzezza? Ci dimentichiamo di chi, probabilmente, sta alle loro spalle, avvocati, notai, commercialisti, esperti di diritto internazionale privato, penalisti, immobiliaristi, finanzieri, uomini senza nome forse anche illustri al servizio dell’azienda dei soldi e della morte.

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