giovedì 25 febbraio 2016

Università, ricerca e finanziamenti agli amici: senatori a vita del pd che cascano dal pero

La scienza all’Expo e la favola del pifferaio


Perché è sbagliato dare fondi a istituzioni private mentre la ricerca muore 

Una scelta schizofrenica: da un lato si tagliano le risorse, dall’altro si mettono in cantiere iniziative come questa che spingeranno le équipe a rivolgersi al Re Mida di turno 
Sembra l’annuncio del pifferaio magico ma in realtà è la toppa glamour messa sul futuro delle aree costruite per l’esposizione universale 

di Elena Cattaneo Repubblica 25.2.16 
«QUELLA di Human Technopole è una sfida complicata e difficile, ma ciò che sta accadendo è che dopo anni di ambizioni al ribasso la possibilità di avere il meglio viene finalmente messa in cantiere». Queste parole non sono state dette ad Hamelin dal pifferaio magico. Le ha pronunciate ieri a Milano il Presidente del Consiglio, presentando il progetto a suo dire “petaloso” per fare dell’ex area Expo un centro di ricerca di rilevanza mondiale. Progetto per il quale si investiranno un miliardo e mezzo di euro nei prossimi dieci anni. Risorse pubbliche, di tutti. La narrazione del premier in tema di politiche sulla ricerca fa sorgere il dubbio di essere spettatori della famosa favola dei fratelli Grimm.
Investire in innovazione e ricerca significa, nel mondo liberaldemocratico, dare spazio al confronto tra idee, per poi selezionare le migliori a beneficio di tutti.
PER farlo, prima ancora di scegliere su cosa e chi puntare le risorse, servono una programmazione e una valutazione terza, competente e indipendente delle proposte. Questa è politica per la ricerca. Il resto è un grande spot fondato sull’improvvisazione.
Che alla politica interessi e percepisca il valore di investire in ricerca in Italia è una favola a cui non crede più nessuno. Non è però questo il problema più grave. Peggio sono l’inaffidabilità, l’intermittenza, «la dispersione e la frammentazione» (cito il ministro Giannini) di quanto viene stanziato, i metodi di erogazione, cioè le procedure opache e con obiettivi vaghi di assegnazione dei finanziamenti, le valutazioni in itinere ed ex-post praticamente assenti. Il tutto condito da preoccupante approssimazione politica. La stessa con cui si passa, indifferentemente, dalle public calls (i bandi pubblici) alle phone calls (le assegnazioni via telefono), o ai fondi top- down, assegnati dal decisore politico direttamente al beneficiario. E alla comunità scientifica che punta sulle idee anziché sulle relazioni privilegiate restano i bandi Prin, Firb e briciole varie.
I bandi per i Progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) sono stati sbloccati lo scorso dicembre dopo tre anni di stallo, coprono tutte le aree del sapere con solo 92 milioni di euro per progetti di durata triennale. Oltre 4.400 quelli presentati. Dai revisori reclutati dai ministeri si ricevono tre righe di commento, spesso in contraddizione tra loro. Un abisso rispetto alle accurate valutazioni, ad esempio, delle revisioni dei bandi Telethon. Con i Prin 2015, poi, scopriamo che si può proporre il progetto anche in italiano. Scelta insensata per le discipline scientifiche, trattandosi di ricerche il cui valore si giudica su scala internazionale.
I vincitori dei Prin otterranno in media fondi per pagare la ricerca di un solo giovane ricercatore. Stop. Con queste risorse irrisorie i ricercatori lavorano per ottenere dati necessari per essere competitivi nei bandi europei. Si spiega così perché riportiamo a casa solo 8 dei 13 miliardi che diamo all’Europa. Al fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica del Miur sono stati destinati 58,8 milioni di euro nel 2016, con una riduzione di circa due milioni ogni anno fino al 2018. Con questa quota il Miur finanzierà sia i Prin sia il Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb). Quindi a voler essere ottimisti, se un altro bando ci sarà, sarà al ribasso.
La legge di Stabilità 2016 ha tolto al Miur anche i fondi destinati a iniziative per la diffusione della cultura scientifica. Erano circa 10 milioni (ossia 20 volte meno rispetto ad altri paesi europei) ma nei prossimi tre anni si ridurranno ulteriormente del 40%. Scelta non proprio lungimirante visto il tasso di alfabetizzazione scientifica del Paese. È di poche settimane fa, poi, l’assegnazione di 21 milioni di euro al Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura, per il Piano triennale di ricerca agricola (il piccolo Lussemburgo investe nove volte di più), senza alcun bando pubblico per l’utilizzo di questi fondi.
Non solo si taglia ma si è schizofrenici nell’erogazione: ai bandi Prin non possono accedere direttamente studiosi del Cnr, ai bandi del ministero della Salute per gli Irccs non possono applicare i ricercatori universitari, poi ci sono i bandi Cnr per il solo Cnr, etc. Eppure gli obiettivi di ricerca spesso sono gli stessi.
E mentre la ricerca agonizza, spunta lo Human Technopole. Il presidente del Consiglio lo ha tirato fuori dal cilindro mesi fa definendolo “centro di ricerca mondiale su sicurezza alimentare, qualità della vita, ambiente” e affidandone (alla cieca) la gestione all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, fondazione di diritto privato. Per cui, mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se esisterà un bando Prin 2016, un ente di diritto privato avrà garantiti 150 milioni di euro all’anno per dieci anni (ma allora le risorse ci sono!). Lo stesso a cui sono erogati da anni (sono già oltre 10) 100 milioni all’anno. Preziose risorse pubbliche che vengono stanziate dal governo di turno “senza accorgersi” che in buona parte sono accantonate in un tesoretto (legale ma illogico) che oggi ammonterebbe a 430 milioni. Risorse pubbliche per la ricerca “dormienti” depositati presso un fondo privato. Il progetto sul post-Expo è l’esempio più emblematico, tra i tanti possibili, delle distorsioni per fini politici, dell’improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi pubblici per la ricerca. Un finanziamento top-down che crea una nuova corte dei miracoli (a prescindere che si chiami Iit) presso la quale c’è già chi si è messo a tavola.
L’Iit dice che non farà tutto da solo. Recluterà, con i soldi pubblici, ricerche (cioè idee) di altre istituzioni. Deciderà a chi e come distribuire i finanziamenti. Quali spazi assegnare e a chi. In altre parole l’Iit riceve e ri-eroga fondi pubblici, come un’Agenzia di finanziamento, come già in diversi casi succede ora (basta leggere i dati pubblici), quando ogni studioso avrebbe il pieno diritto di accedere ai fondi direttamente alla fonte pubblica, con l’idea di cui è depositario, senza pagare pegno al Re Mida di turno. Le collaborazioni tra idee e gruppi sono abituali nella scienza e si sanciscono “alla pari” senza svendere le proprie idee a intermediari dell’erogatore pubblico.
Dieci anni fa il Gruppo 2003, gli scienziati italiani più citati al mondo, proponeva la nascita di una “Agenzia nazionale della ricerca”. Da allora la discussione sull’Agenzia langue. Per escogitare Human Technopole è bastata l’ispirazione estemporanea di un giorno. Per pianificare l’investimento decennale di un miliardo e mezzo di risorse pubbliche è bastata l’urgenza di mettere una “toppa glamour” al dopo Expo. Servirebbe, invece, mettere un limite all’arbitrio della politica, che dovrebbe solo scegliere gli obiettivi da perseguire. Si lasci alla libera e meritocratica competizione tra idee la selezione dei mezzi migliori per raggiungerli.
La comunità scientifica ha finito con l’appellarsi all’Europa con la petizione pubblica “Salviamo la ricerca italiana” per superare una condizione di pura sussistenza e assurdità. Mai come ora si sente il peso della propaganda politica, della spettacolarizzazione che tutto divora, compresa la speranza dei più giovani.
Elena Cattaneo è docente all’Università Statale di Milano e senatore a vita

Un tesoretto solo per pochi
Università. La voce dei ricercatori nell'assemblea al dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma di Andrea Capocci il manifesto 26.2.16
L’allarme lanciato via Internet da Giorgio Parisi, anche sulle pagine del manifesto di ieri, non è caduto nel vuoto. Dopo le quarantamila firme raccolte dalla petizione online, anche l’assemblea convocata alla Sapienza per far sentire dal vivo la voce dei ricercatori è stata assai partecipata. «C’è più gente che per le onde gravitazionali», conferma chi cerca di affacciarsi in aula Amaldi, al dipartimento di Fisica della Sapienza. In effetti sono oltre in quattrocento, più altri trecento collegati via streaming, ad ascoltare ricercatori e politici convinti che il governo Renzi non abbia segnato alcuna discontinuità con quelli precedenti, nella politica della ricerca.
Un successo di comunicazione confermato da uno che se ne intende, il decano della divulgazione Piero Angela. Applauditissimo dai numerosi studenti e ricercatori precari, ha però invitato a non esagerare con la prudenza: «Diversamente da altre forze sociali, non siete considerati un interlocutore dal governo. Forse finora siete stati troppo cortesi?». In effetti, la ricerca italiana riesce spesso a entusiasmare, soprattutto quando si parla di onde gravitazionali e particelle, ma nelle leggi di stabilità raccoglie poco.
Il governo Renzi ha anche cercato di cavalcare i successi dei ricercatori italiani (spesso ottenuti all’estero) per rinverdire un qualche orgoglio nazionale. Finora, per lui e per il ministro Giannini, l’operazione si è rivelata un boomerang: il mondo della ricerca sembra non gradire questa strumentalizzazione se poi lo stesso governo prosegue nella politica dei tagli.
Proprio Adalberto Giazotto, uno degli ideatori di Virgo, il laboratorio che insieme ai cugini americani di Ligo ha individuato le onde gravitazionali, e Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, hanno vouto partecipare via Skype all’assemblea per chiarire che non si tratta della lamentela di pochi fannulloni.
I dati lo dimostrano, dice Arianna Montorsi (docente al Politecnico di Torino) con poche, chiarissime slide: «I ricercatori italiani, in media, conquistano ciascuno una volta e mezzo più finanziamenti europei dei loro colleghi». Dunque, non hanno certo paura delle procedure di valutazione: le boicottano, come sta accadendo in molti atenei perché serviranno soprattutto a giustificare i nuovi tagli alla ricerca pubblica. Che senso ha «competere», se il governo stanzia 92 milioni di euro per i progetti di ricerca di interesse nazionale, dieci volte meno della Francia? Da noi perdono tutti, è una lotteria.
I finanziamenti perduti non sono svaniti nel nulla, avverte Parisi. Sono serviti a finanziare altro. Ad esempio, l’Istituto Italiano di Tecnologie (IIT) di Genova, un ente pubblico di diritto privato che in dieci anni ha già ricevuto un miliardo di euro. All’IIT Renzi ha affidato anche lo Human Technopole, il centro di ricerca che sorgerà negli spazi lasciati dall’Expo milanese, assistito da oltre un miliardo e mezzo di euro pubblici per il prossimo decennio. «L’IIT ha avuto così tanti soldi che ha potuto accumulare un tesoretto da 400 milioni di euro investiti in fondi bancari», denuncia Francesco Sylos-Labini, citando un calcolo analogo della senatrice a vita Elena Cattaneo.
Allora bisogna ascoltare la replica di Francesca Puglisi, senatrice Pd, venuta qui sperando di raccogliere qualche applauso con promesse immaginifiche. «Come ha fatto Obama, anche il governo Renzi creerà una cabina di regia per le politiche della ricerca, in cui ascoltare la voce dei ricercatori in prima persona».
Il pubblico rumoreggia: la «cabina di regia» ricorda troppo l’ennesimo film. Non invitato, prende allora la parola Michele Sugarelli, studente di dottorato e attivista dei collettivi: «Basta con le passerelle, questo è il governo contro cui siamo già scesi in piazza per difendere la scuola e il diritto allo studio».
La senatrice se ne va — «c’è da votare una fiducia» — e lascia la poltrona bollente a un altro dem, Walter Tocci, più ascoltato nelle università che nel suo partito. Francesco Sinopoli, segreteria della Federazione dei Lavoratori della Conoscenza Cgil, conclude che «col cappello in mano non si ottiene nulla. Ci vuole una mobilitazione». E stavolta gli applausi arrivano anche via streaming.


Il flop di Polo-Expo
Non lo dice un gufo ma Elena Cattaneo di Gianni Barbacetto Il Fatto 26.2.16
Elena Cattaneo ha polverizzato in un attimo il progetto “petaloso” di Matteo Renzi. Con il suo articolo, pubblicato ieri in prima pagina da Repubblica, ha distrutto in un sol colpo la mirabolante promessa del presidente del Consiglio di costituire da qui al 2040, sull’area Expo, un fantastico “polo di ricerca di rilevanza mondiale” su genoma, alimentazione, big data, malattie neurodegenerative, con sette centri e 1.500 ricercatori: lo Human Technopole. Puro storytelling, lo ha liquidato Cattaneo, che ha paragonato Renzi al pifferaio magico di Hamelin protagonista della favola dei fratelli Grimm. “Propaganda politica”, “spettacolarizzazione che tutto divora, compresa la speranza dei più giovani”. Il fatto è che Elena Cattaneo non è un gufo qualunque. È la ricercatrice italiana più nota nel mondo, ha lavorato in Italia e all’estero proprio su genoma e cellule staminali e per i suoi meriti scientifici è stata nominata senatore a vita. Le scelte di Renzi sono insensate, ha scritto ieri. Il polo scientifico sull’area Expo è solo “uno spot che svilisce la ricerca”, uno sfavillante teatrino messo in scena da un governo che da una parte promette un miliardo e mezzo in dieci anni a un centro di diritto privato (l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova), senza gare pubbliche, senza valutazioni indipendenti, senza libera competizione, senza trasparenza sulle assegnazioni, senza controlli, trasformando il vertice di Iit in un Re Mida a cui ogni studioso, ogni centro di ricerca, ogni università dovrà pagare pegno se vorrà avere accesso ai fondi ed essere coinvolto nei suoi programmi; dall’altra rende agonizzante la ricerca pubblica, lesinando i fondi, disperdendoli in briciole, erogandoli a singhiozzo.
UNA BOCCIATURA senza appello allo schizofrenico sistema di finanziamento della ricerca italiana. Pochi soldi ai tanti ricercatori dei diversi progetti (Prin, Firp...) e tanti soldi a un centro che “deciderà a chi e come distribuire i finanziamenti, quali spazi assegnare e a chi”. Mentre “le collaborazioni tra idee e gruppi sono abituali nella scienza e si sanciscono ‘alla pari’ senza svendere le proprie idee a intermediari dell’erogatore pubblico”. La verità che questa scelta è stata fatta perché era la più comoda: invece di dare vita alla “Agenzia nazionale della ricerca”, attesa da dieci anni, è stato più facile coinvolgere Iit, che è un centro controllato direttamente dal governo e che dopo il primo decennio di vita era alla ricerca di una sua vocazione per diventare adulto. Nasce per caso, lo Human Technopole, in uno studio di talk show televisivo. Il ministro Maurizio Martina era stato chiamato a parlare di Expo. Tra gli ospiti c’era anche Roberto Cingolani, il brillante direttore scientifico di Iit. Martina era, come tutti i rappresentanti delle istituzioni pubbliche coinvolte in Expo – governo, Comune di Milano, Regione Lombardia – alla disperata ricerca di una soluzione per il dopo Expo. Per l’evento del 2015 erano state comprate aree private, per la prima volta nella storia delle esposizioni universali. Valevano 20 milioni, le avevano pagate 200. I soldi dovevano rientrare rivendendo l’area ai privati, ma l’asta nel novembre 2014 era andata deserta. Che fare? Cingolani fa il suo mestiere, non si lascia sfuggire l’occasione. Strega il ministro con progetti futuribili e mirabolanti. Intanto a Renzi aveva parlato l’amico Marco Carrai, affascinato da Francesco Micheli. Ricerca, genoma, futuro: ecco l’idea per “mettere una toppa glamour al dopo Expo”. A dirlo, ora, è Elena Cattaneo, mica un gufo qualsiasi.
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Il fisico Giorgio Parisi “Ecco perché quel centro è una bella ciliegina ma senza la torta sotto”
“Nella struttura troveranno lavoro mille persone? Ma negli ultimi anni ne abbiamo perse tra le 10 e le 15mila, che oggi si trovano all’estero” intervista di E. D. Repubblica 26.2.16
ROMA. Giorgio Parisi è uno dei più autorevoli fisici del mondo. Dal 1992 fa parte dell’Académie des sciences francese e dal 2003 della National academy of Sciences americana. Eppure ha scelto di rimanere a Roma, alla Sapienza, per insegnare e fare ricerca. La lettera da lui promossa e pubblicata su
Nature il 3 febbraio (“Chiediamo all’Unione europea di spingere i governi a mantenere i fondi per la ricerca al di sopra dei livelli di sussistenza”) ha ricevuto quasi 50mila firme. Ieri Giorgio Parisi ha riempito l’aula Amaldi della Sapienza con il convegno da lui organizzato “Salviamo la ricerca”.
Cosa pensa dell’Human Technopole?
«Che è una fantastica ciliegina sulla torta per la ricerca del nostro Paese. Peccato che manchi la torta. Non ho nulla in contrario al progetto annunciato per Milano, ma la situazione dell’altra ricerca, quella pubblica, in Italia è drammatica. Lo Human Technopole darà lavoro a mille ricercatori? Ma noi negli ultimi anni ne abbiamo persi fra 10 e 15mila, che oggi lavorano all’estero. In alcuni dipartimenti del Cnrs francese, nel campo della meccanica statistica che è quello di cui mi occupo, i ricercatori italiani hanno superato per numero quelli locali».
Quali sono i numeri della crisi?
«Dalla media 2005-2008 al 2014 abbiamo perso il 20% degli studenti immatricolati all’università, e come se non bastasse sono state tagliate le borse di studio. Il fondo per il finanziamento ordinario che lo stato eroga agli atenei è calato del 22%. Tra il 1996 e il 2013 ci è stato tagliato un miliardo di euro. I docenti sono diminuiti del 17% e il numero di corsi offerti del 18%. Una situazione simile si era registrata prima d’ora solo in caso di guerre o cambi di regime».
Cosa chiede nella petizione su Nature?
«L’Italia, nel 2000 e nel 2002, aveva aderito al trattato di Lisbona e agli obiettivi di Barcellona. Si era impegnata con l’Europa, cioè, a finanziare la ricerca con almeno il 3% del Pil, fra fondi pubblici e privati. Poi tutti si sono dimenticati di questa promessa. Nella lettera chiediamo che l’Europa usi con i fondi per la ricerca lo stesso rigore che usa per farci rispettare i vincoli di bilancio».
Scrive anche che perdiamo ogni anno 300 milioni di euro. Che vuol dire?
«Che diamo all’Europa 900 milioni all’anno in contributi per la ricerca, ma riusciamo a vincere bandi solo per 600 milioni. Questo non perché i nostri ricercatori non siano bravi, ma perché sono pochi».

Il dibattito sulla denuncia della Cattaneo
Ci troviamo davanti a un clamoroso atto di sfiducia verso la ricerca pubblica da parte del governo
Perché il piano del dopo-Expo è la strada sbagliata della scienza
di Giovanni Bignami Presidente dell’Istituto nazionale di Astrofisica fino al 2015, è membro dell’Accademia dei Lincei Repubblica 27.2.16
NON si può far finta di niente. E neanche cadere nella trappola cerchiobottista di presentare i favorevoli e i contrari, toccando inevitabili conflitti di interesse. Il problema politico e di merito creato dalla proposta/ imposizione “Human Technopole” per il post-Expo, attaccata da Elena Cattaneo, è tanto grosso quanto semplice e comprensibile a tutti. Riassumiamo i fatti. Alla periferia di Milano esiste un’area, già usata per Expo, che potrebbe essere destinata alla ricerca.
A Roma e Milano se ne parla da tempo: non mancano idee e attori scientifici, ma naturalmente ci vuole “la grana”. Come spesso in questi casi, i grandi attori industriali, a parole sempre favorevoli alla ricerca, si sfilano uno dopo l’altro: intervenga il denaro pubblico, poi, magari, vedremo… Dopo una presentazione al Piccolo Teatro, dove tutto era già deciso, il 25 novembre scorso ecco il Decreto del Presidente del Consiglio, ora convertito in legge: «È attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia (IiT) un primo contributo dell’importo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate, da attuarsi anche utilizzando parte delle aree in uso a Expo S.p.a. ove necessario previo loro adattamento. IiT elabora un progetto esecutivo che è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze». Chiaro, no? Brilla per la sua assenza quel Ministero con la U(niversità) e la R(icerca) nell’acronimo, come scriveva ieri il ministro Giannini. Come ex-presidente di due Enti pubblici di ricerca, mi chiedo perché non si sia pensato al Miur. Forse non lo si usa perché ha troppa burocrazia, almeno secondo la spietata analisi del ministro, a capo dello stesso Miur.
E poi, da subito, e sempre in assenza di un programma chiaro, ecco l’impegno pubblico a voce di 150 milioni all’anno per dieci anni (ma per il 2016 già sicuri altri 98,6 milioni), naturalmente oltre ai 100 milioni/anno del normale contributo statale allo IiT, noto per i brillanti risultati in robotica, più che in oncologia. Sono soldi pubblici pari a un decimo del Fondo ordinario per tutti gli Enti di Ricerca del Miur, soldi dati senza nessuna selezione (Corte dei Conti, dove sei ?) a un Ente di diritto privato. Quale senza dubbio è lo IiT, come dimostrato, per esempio, dalla permanenza a Direttore Scientifico ed Amministratore Delegato della stessa persona dal 2005, qualcosa di inimmaginabile nel pubblico. Il prof. Cingolani sarebbe evaporato dopo al massimo due mandati di 4 anni, come per gli Enti di ricerca, o uno da sei anni, come per i Rettori delle Università.
Concludendo con i fatti, i soldi pubblici dati allo IiT verranno poi da questo distribuiti ad attori locali e non (tra essi anche una vinicola trentina, pare). Sono tutti già nominati esplicitamente, prima di cominciare. Naturalmente, alcuni di loro sono tra i favorevoli al progetto, guarda caso. Ma lo IiT ha forse nel suo statuto la funzione di Agenzia per la ricerca? Ovviamente no, soprattutto trattandosi di soldi pubblici. Punto facilmente aggirabile usando quel «elabora un progetto…approvato dal PCdM e dal Mef».
Il paziente lettore ha capito che, fuor di metafora, ci troviamo davanti a un clamoroso atto di sfiducia nei confronti della ricerca pubblica da parte del governo che ne è responsabile, Miur o non Miur. È qualcosa di paradossale, di totalmente ingiustificato e tanto più grave quando, invece, l’iniziativa “Salviamo la Ricerca” lanciata da Giorgio Parisi ha raccolto più di 50mila firme (paziente lettore, firma anche tu!). E, indipendentemente, il “Gruppo 2003”, composto dagli scienziati italiani più citati nel mondo, ha proposto la formazione di una vera Agenzia (indipendente ma pubblica) per la Ricerca.
Sarebbe la strada giusta, che la comunità scientifica italiana, la peggio trattata in Europa dal proprio governo, chiede di imboccare. Sommessamente, la riproponiamo qui ancora una volta: ci sarà un motivo se tutti grandi paesi, in Europa e nel mondo, ne hanno una. Possiamo costruirla con il contributo di tutti, ricercatori e governo, per una volta senza barriere, forzature o imposizioni. 

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