lunedì 14 marzo 2016
Dietro l'ironia postmoderna, la religione assoluta: liberalismo come ideologia totalitaria
Nel senso positivo in cui Gramsci usava questa espressione, non in quello ideologico della Dottrina Truman; quel senso che ha decretato l'ammirevole efficacia e il secolare successo del liberalismo [SGA].
Se un film educa al liberalismo
Massimiliano Panarari Busiarda 14 3 2016
Un film sull’industria dei sogni, fatto dall’industria dei sogni. Il divertente omaggio alla Hollywood degli anni Cinquanta dell’ultimo (ottimo) film dei fratelli Coen (Ave, Cesare!) rappresenta un perfetto esempio di metanarrazione intorno alla settima arte. Tutto in forme molto postmoderne e «neobarocche», come avviene sempre nel loro stile cinematografico (anche se non nei contenuti), con una capacità rara, sotto la patina ironica, di evocare grandi temi.
Un’attitudine e una forza che un certo cinema americano possiede all’ennesima potenza, perché l’immaginario novecentesco d’Oltreoceano è diventato praticamente universale nella cultura popolare. Prendiamo, allora, una scena di quest’ultima pellicola di Joel ed Ethan Coen, che vale quanto un trattato (e ci limiteremo a questa, perché lungi da noi l’intenzione di fare dello spoiler sulla trama). Siamo nell’ufficio di un boss di uno degli studios hollywoodiani intenzionato a girare un film su Gesù Cristo che risulti «politicamente corretto» per la totalità delle fedi presenti in quella nazione molto religiosa che sono gli Stati Uniti. E subito esplode la bagarre, ovvero la disputa tra punti di vista teologici inconciliabili, alla quale il produttore oppone, pur rispettosamente, le leggi del business, che vogliono naturalmente attrarre tutti indipendentemente dalla visione del mondo, aggiungendo la considerazione per cui l’intrattenimento rappresenta, di fatto, la forma di educazione del XX secolo – o, per meglio dire, quella attraverso cui si può fare un’efficace pedagogia (o antipedagogia…) di massa. Dunque, da un lato la fede, dall’altra il mercato; da una parte i credenti, dall’altra gli individui consumatori. Cambio di scenario, e ci trasferiamo nell’Italia dei giorni nostri, erede di una storia pluridecennale di «chiese» (da quella cattolica a quella comunista) e visioni confessionali, ritrovatasi, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso a vivere un passaggio repentino e «choccante» dalla premodernità alla postmodernità. L’esperienza della modernità, dovunque in Occidente (e da noi un appuntamento in buona parte, purtroppo, mancato), ha coinciso con il riconoscimento e la valorizzazione della centralità dell’individuo, titolare di libertà e portatore di diritti – e ha trovato in una concezione del mercato quale spazio di competizione meritocratica un’occasione di promozione del talento dei singoli. L’individuo è precisamente il soggetto che il predominio in Italia di ideologie e narrazioni a vocazione collettivista o comunitaria ha penalizzato, quando non duramente «scomunicato» e rigettato. Ora, l’essere individuo e «credente» non è incompatibile, naturalmente (anzi, può contraddistinguere un plus di impegno verso la società, come ci hanno insegnato, tra gli altri, Arturo Carlo Jemolo e, su un altro versante, Piero Calamandrei e Alessandro Galante Garrone), ma occorre che alla base vi sia una cultura condivisa del pluralismo e della piena accettazione dell’altro. Ovvero quella del liberalismo, che nel caso italiano, per molteplici motivi, si è ritrovato a essere sempre minoritario – e gli effetti preoccupanti di tale minorità nella coscienza civile rappresentano un fiume carsico sempre pronto a riaffiorare, come si è visto di nuovo in certi sconcertanti toni da crociata della discussione intorno alle unioni civili. Una società matura e moderna, come mostrano tanti esempi avanzati fuori dai confini della nostra Penisola, è quella che attribuisce un carattere di universalità al sistema delle libertà e dei diritti, e ne garantisce l’attuazione. Perché i diritti civili e umani funzionano per estensione, e non per sottrazione: e il fatto che quanti più individui (o, se si preferisce, persone) ne godano non significa in alcun modo penalizzare coloro che già ne dispongono. E, non va dimenticato, proprio i diritti costituiscono la nostra arma migliore – insieme all’ironia e alla costruzione di una cultura politica liberale rinnovata e «postmoderna» – contro il dilagare degli integralismi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento